Trentottomila chilometri quadrati di mare. Questa è la porzione di area marina che la Corte Internazionale di giustizia dell’Aja ha deciso di trasferire dal Cile al Perù al termine di un lungo contenzioso giuridico durato cinque anni. È questa la seconda decisione trascendentale presa dal tribunale e che negli ultimi mesi ha trasformato parte della geografia marina latinoamericana. La prima aveva messo di fronte Nicaragua e Colombia, dove quest’ultimo paese si era visto togliere centomila chilometri quadrati di oceano a favore del governo di Managua. Non sarà nemmeno l’ultima, visto che la stessa Corte dovrà decidere se restituire o no alla Bolivia quello sbocco al mare che i cileni si presero come compensazione della Guerra del Pacifico.
La rivalità tra cileni e peruviani risale proprio a quella guerra, quando l’esercito di Santiago entrò a Lima (esattamente nel gennaio di 133 anni fa, era il 1881) per restarci ventuno mesi. Nella memoria popolare peruviana è rimasto il detto che comporta il terrore di avere un cileno sull’uscio di casa, ad indicare la crudeltà con cui i cileni si comportarono durante quella occupazione –le truppe di Santiago passarono per le armi anche tredici inermi pompieri italiani che cercavano di frenare le fiamme ed il saccheggio di Lima-. Allora i cileni, per restituire sovranità e capitale al Perù, pretesero ed ottennero le regioni di Arica e Iquique, dal ricco sottosuolo e dai mari dove il pesce si è sempre pescato in abbondanza. Proprio la pressione dell’industria peschiera abbinata al rigurgito nazionalista che ha pervaso il Perù dalla presidenza di Toledo ai nostri giorni, ha chiesto ed ottenuto di ridisegnare una frontiera che i peruviani reclamavano già come spuria più di trenta anni fa e che era il frutto di quei lontani giorni di guerra e violenze.
Confine, vicinanza e convivenza non sono mai stati facili, in particolare per i peruviani. Incalzati dal terrorismo e dalla crisi, a migliaia sono emigrati per anni nel vicino paese del sud, al punto da rappresentare oggi, con quasi 140.000 unità, il 31% della forza lavoro straniera. Manodopera che risulta economica: domestiche, manovali, guardiani, operai, occupati in tutti quei posti di lavoro che i cileni invece disdegnano. Una condizione di provvisorietà che deve spesso fare i conti con l’intolleranza e che non ha fatto che accrescere il risentimento verso un paese che sì li ha accolti, ma spesso li ha anche emarginati. Aver ottenuto il riconoscimento territoriale dall’Aja per i peruviani è come aver vinto un derby che radica non in uno stadio di calcio, ma negli alti e bassi della vita quotidiana.
La decisione della Corte Internazionale non è piaciuta a Piñera, che terminerà il suo mandato con una sconfitta diplomatica che pesa su tutta la destra cilena. Il presidente si è detto contrario a quanto dettato in Olanda, mentre il gruppo di giuristi che aveva presentato la difesa ha parlato di una decisione ¨priva di ogni fondamento¨. Non ci saranno però prese di posizione radicali. Sia prima che dopo la sentenza, sia peruviani che cileni aveano affermato che qualsiasi verdetto sarebbe stato accettato e le prime reazioni fanno intendere che sarà così. Con quali tempi sarà però tutto da verificare, perché a Santiago hanno tutto l’interesse a temporeggiare. Una posizione che Piñera ha già annunciato di voler perseguire chiedendo che il Perù riconosca la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, nonché la situazione peculiare di Tacna, porto peruviano che sorge, secondo gli accordi, davanti a mare cileno.