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La Corte Europea promuove la diagnosi genetica preimpianto

Creato il 14 febbraio 2013 da Ilnazionale @ilNazionale

14 FEBBRAIO – La Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo boccia la domanda di riesame della sentenza del 28 agosto 2012. Quella pronuncia in cui, si ricorderà, la stessa Corte Europea aveva dichiarato l’incoerenza del sistema legislativo italiano esprimendo la necessità di permettere alle coppie fertili, ma portatrici di malattie genetiche, di accedere alla diagnosi preimpianto degli embrioni diviene, pertanto, definitiva.embrioneLo scopo della legge 40 del 2004 è quello di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dall’infertilità umana, consentendo il ricorso alla procreazione medicalmente assistita unicamente in assenza di ulteriori metodi terapeutici efficaci. Il ricorso a tali tecniche, dunque, non dovrebbe essere il frutto di una mera scelta personale, bensì essere dettata da ragioni terapeutiche necessarie. La legge, inoltre, si impegna a preservare i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito, il quale viene considerato a tutti gli effetti soggetto di diritti. Dall’insieme delle disposizioni l’intendimento del legislatore sembrerebbe essere stato quello dell’imitatio naturae in modo da ricreare, seppur artificialmente, le condizioni che più si avvicinano a quelle di un concepimento naturale, sia nella regolamentazione delle pratiche applicative di intervento sia nella formulazione dei requisiti soggettivi ed oggettivi d’accesso alle pratiche stesse. Rilevante risulta, in particolare, il capo dedicato alle misure di tutela dell’embrione in cui la legge 40 vieta qualunque forma di sperimentazione sugli embrioni umani non ammettendo alcuna ipotesi di ricerca e utilizzo delle cellule staminali. Tale previsione risulta, così, più rigorosa persino della normativa sovranazionale la quale si limita a porre alcuni divieti di massima, generali. Solo qualora non siano disponibili metodologie alternative si permette la ricerca con finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche purché volte alla tutela e allo sviluppo dell’embrione stesso. La creazione di embrioni per fini diversi da quelli perseguiti dalla legge è vietata, così come ogni forma di selezione a scopo eugenetico o di interventi manipolativi, di clonazione o di creazione di ibridi o chimere. Nulla si dice espressamente in relazione alla diagnosi genetica preimpianto sull’embrione creato in vitro e le disposizioni legislative sono di per sé contrastanti: da un lato, infatti, l’art. 13 sembrerebbe negare tale possibilità, vietando la sperimentazione sugli embrioni umani e ogni forma di selezione eugenetica, dall’altro l’art. 14, al comma 5, prevede che chi intende sottoporsi a procreazione medicalmente assistita possa essere informato in merito allo stato di salute degli embrioni prodotti. La situazione di incertezza è stata risolta con l’intervento delle Linee Guida ministeriali del 2004, le quali hanno restrittivamente consentito una diagnosi genetica preimpianto unicamente di tipo osservazionale.

Un’ordinanza del Tribunale di Bologna del 2009 ha, tuttavia, autorizzato la diagnosi preimpianto a favore di una coppia nella quale la donna era portatrice sana di distrofia muscolare ed in precedenza aveva già partorito un figlio affetto dalla medesima malattia. Tale giurisprudenza ha ritenuto, dunque, irragionevole non ammettere la possibilità di ricorrere alla diagnosi genetica preimpianto per individuare direttamente l’embrione sano come conseguenza necessaria della diffusa prassi di effettuare diagnosi prenatali prodromiche all’utilizzo dello strumento dell’interruzione della gravidanza in modalità non pienamente confacenti allo spirito della legge 194/78.

cedu
La Corte Europea è intervenuta sul tema a più riprese a tutela del c.d. “diritto alla vita privata” consistente nel diritto a stabilire relazioni con  altre persone e a decidere se avere o meno figli. Il fatto che determinate prassi comportino dei rischi non è ritenuto sufficiente dalla Corte a giustificare l’imposizione di un divieto assoluto: la materia deve, invece, essere disciplinata in maniera tale da consentire il restringimento dei possibili rischi entro limiti accettabili. Nell’agosto 2012, pertanto, la Corte ha affermato la sussistenza di una violazione dell’art 8 della Convenzione dei Diritti dell’Uomo, recante la tutela della vita privata e familiare, laddove l’Italia aveva impedito la realizzazione del desiderio di non avere un figlio portatore di malattia genetica. La possibilità di ricorrere alla selezione embrionale è stata giustificata dalla giurisprudenza europea alla luce di un’asserita mancanza di coerenza all’interno del sistema legislativo italiano derivante dall’irragionevolezza del divieto alla luce dell’ammissibilità del ricorso all’aborto in un momento successivo all’instaurarsi della gravidanza e della necessaria differenziazione tra la nozione di embrione e bambino, ammettendo la tutela degli interessi solo di quest’ultimo.

Il ragionamento della Corte, tuttavia, non convince. La legge 194/78 “per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”, la quale autorizza l’aborto non per pratiche selettive, ma unicamente qualora la prosecuzione della gravidanza comporti “un serio pericolo per la salute fisica o psichica” della madre, e la denunciata sussistenza di prassi applicative contrarie allo spirito e alla lettera della legge stessa non fa che confermare la perfetta coerenza del sistema costituzionale italiano turbato caso mai dal perpetuarsi di prassi “terapeutiche” illegittime. L’aborto è, infatti, considerato terapeutico con riferimento alla salute della donna e non a quella del bambino. I diritti costituzionali di libertà, uguaglianza, salute di cui agli artt. 2, 3 e 32 della Carta Costituzionale non comprendono un diritto assoluto ad avere figli sani, la vita viene, infatti, tutelata in tutte le sue manifestazioni.

Un altro aspetto di grande rilievo è quello concernente il significato da attribuirsi al termine “embrione”. Ciò che emerge in ambito comunitario è, infatti, la plurivocità del termine a seconda che ci si riferisca al momento di fusione dei nuclei dei gameti o alla comparsa di altri ulteriori elementi ritenuti rilevanti, quali ad esempio la comparsa della c.d. stria primitiva. La legge italiana non si preoccupa di prevedere una definizione precisa dell’interpretazione da fornire al termine embrione, va però detto che la prassi medica, prima ancora di quella giurisprudenziale, ha risolto tale problematica abbracciando la nozione di embrione più ampia possibile, ossia riferendosi già all’oocita attivato o oocita penetrato. L’affermazione distintiva tra embrione e bambino effettuata dalla Corte assume, invece, connotazioni preoccupanti per i possibili risvolti discriminatori e soprattutto eugenetici, in contrasto anche con le più recenti pronunce della Corte di Giustizia Europea in materia di invenzioni biotecnologiche le quali supportavano una definizione ampia di embrione con l’intento di poter giungere a uno statuto giuridico dell’embrione il più possibile condiviso nell’ambito dei paesi membri dell’Unione Europea.

I conflitti intrinseci che informano di sé l’intera materia sono, dunque, quelli tra diritto alla vita del concepito e diritti costituzionali degli aspiranti genitori; diritto ad avere un figlio ad ogni costo e diritto del figlio ad avere una famiglia tradizionale; diritto ad avere un figlio sano e diritto alla vita e alla dignità del concepito nonché conflitto tra libertà di ricerca scientifica e diritto alla vita e alla salute del concepito. Si tratta di situazioni conflittuali complesse che accompagnano il dibattito bioetico internazionale. In questo ambito, pertanto, lo strumento dell’intervento giurisprudenziale appare inadatto  a garantire un coordinamento legislativo europeo per il quale si richiede un intervento sistematico. Finora l’uomo si è servito della tecnica per intervenire su materie inanimate da cui creare mezzi non umani per la propria comodità, oggi, invece, egli da soggetto diventa vero e proprio oggetto del dominio tecnico. Si accresce il potere dell’uomo sulla natura, ma parallelamente anche quello dell’uomo sull’uomo. Cosa comporterà la possibile predeterminazione di uomini futuri? E quali saranno i risvolti pratici delle neo-ammesse pratiche diagnostiche preimpianto? La problematica della modifica genetica si apre, quindi, a nuovi scenari  nei quali potrebbe risultare idoneo orientarsi a partire dal divieto di qualsiasi forma di strumentalizzazione degli embrioni al fine di non confondere la pretesa clinica con la discriminazione unilaterale irreversibile e fuggire i fantasmi eugenetici di un passato non troppo lontano e solo, oggi, diversamente agghindati.

Beatrice Marini


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