Parlare di un film del genere è molto difficile, perché si è detto e scritto talmente tanto che ogni parola rischia di entrare nella sfera del superfluo o del “già sentito”. Come sempre il consiglio principe è quello di recuperare ciò che potete della grande quantità di materiale reperibile sul web e non solo, perché ne vale davvero la pena.
Un gruppo di scienziati in Antartide e una sostanza extraterrestre parassita che prende le sembianze delle persone che infetta sono la base di partenza per mettere in luce due temi chiave: la critica della società e la critica dell’individuo. Se inizialmente ad essere percepito come nemico è l’alieno, perché tendiamo a riconoscerci nei nostri simili e ci immaginiamo al loro posto, man mano che si va avanti con la visione ci si rende conto che in realtà è l’uomo stesso il nemico della propria specie. Non a caso l’essere proveniente da un altro mondo è chiamato attraverso il termine generico “La Cosa“, in quanto può essere qualsiasi cosa, qualsiasi elemento esterno che metta in discussione le false certezze sulle quali abbiamo costruito il nostro mondo idilliaco. Ed infatti la caccia all’alieno si trasforma ben presto in una caccia all’uomo, il bene e il male si confondono e l’ambiguità prende il sopravvento: entrambe le specie si rendono protagoniste di atrocità, ma mentre La Cosa lo fa per mancanza di alternativa e per puro spirito di sopravvivenza, l’uomo è spinto solo dall’odio e dalla cultura del sospetto, e anche quando potrebbe avere un’altra opzione, la scelta finisce sempre col preferire l’individualismo sul collettivo, l’egoismo sulla solidarietà.
Carpenter è la dimostrazione di come si possa usare l’intrattenimento come mezzo per portare avanti una poetica d’autore senza spocchia né ammiccamenti, perché sa come usare il genere: non cerca mai lo shock fine a se stesso né usa inutili virtuosismi (guarda caso caratteristiche peculiari del 90% degli horror odierni); i momenti action sono sporadici, quelli splatter indimenticabili e non si mangiano il film, ma lo portano a un livello di completezza esemplare (grazie anche al grande Rob Bottin che ne ha curato gli effetti). Un film compiuto in ogni sua parte: ogni inquadratura è un’opera d’arte, ogni interpretazione da manuale, ogni scena da ricordare, fino a un finale che vale una monografia.
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