Se fossi stato saggio come te,
mesembriantemo, avrei dischiuso
al sole le mie stanze, lasciando
penetrare il disseccante raggio
fino al recondito angoletto, dove
s’annida, gravido d’ambiguo estro,
l’umore che sconquassa e non tollera
la monotonia della quieta vita.
All’insinuante roseo vespertino
avrei serrato l’intimità di quelle
stanze, mesembriantemo, come i tuoi
fiori, mirabili nello splendore
del giorno e ripiegati timorosi
all’avvolgente ombra della sera.
Tu dalla norma del vaso ti diffondi
e non ti intimorisce la pietraia,
che troppo urge la linfa alla vita
selvaggia; di poche gocce d’acqua
ti sostenti e dall’aridità produci
a frotte le meraviglie del tuo fiore
coscienzioso, mesembriantemo,
carnoso sempreverde. Io, barbaro
ingenuo, m’illusi di poter stare
al mondo tenendo istinto ed estro
a fior di pelle, senza filtro.
E non ho trovato ancora i tempi
giusti e ormai dispero di trovarli,
i giusti tempi della fioritura
e del ben simulato appassimento.