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La crescita occupazionale passa dall’innovazione

Creato il 23 marzo 2016 da Propostalavoro @propostalavoro

creative-725811__180No, non sarà il Jobs Act a far crescere l’occupazione in modo sostenuto, né saranno i limitati incentivi finanziari che la nostra fragile economia è in grado di concedere alle imprese. Un mercato del lavoro dotato degli adeguati meccanismi che facilitino l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, nonché di strumenti e servizi efficaci per aziende e lavoratori è senz’altro indispensabile: ma da solo non è sufficiente, e rischia di restare – anche nella migliore delle ipotesi – un motore efficiente in un veicolo senza carburante e senza guida. Analogamente, gli incentivi economici hanno una portata limitata nel tempo, e non sono in grado di incidere significativamente sulle dinamiche occupazionali. Il nostro paese sta uscendo da un periodo prolungato di recessione economica, che ha riguardato – anche se in misura differente – tutte le principali economie occidentali: sebbene la causa scatenante di tale crisi sia stata di natura finanziaria, essa giunge alla fine – e in parte ne è il risultato – di una fase di trasformazione delle strutture produttive dei paesi occidentali, che ha visto la drastica riduzione dei posti di lavoro prima nel settore manifatturiero e successivamente nei servizi, in particolare in seguito alla diffusione delle tecnologie informatiche. Uno dei risultati di tale trasformazione è la così detta  “polarizzazione dell’occupazione”, un fenomeno che si manifesta da tempo negli Stati Uniti, ed è in corso anche in Europa: la diffusione dell'automazione genera nuova occupazione alla base della scala salariale nel settore dei servizi, e contemporaneamente  causa la crescita della quantità e della redditività dei posti di lavoro al vertice. Vi è invece una riduzione di posti di lavoro nella parte intermedia del mercato del lavoro, di cui paga le conseguenze la middle-class, ossia quella parte della società che – in tutte le democrazie avanzate – costituisce il perno della convivenza civile, l’ossatura su cui si fondano le democrazie liberali sviluppatesi dal secondo dopoguerra.

Un ulteriore elemento chiave che dobbiamo considerare – se vogliamo analizzare correttamente il cambiamento che sta investendo il mercato del lavoro nei paesi occidentali – riguarda la “dislocazione geografica” dell’occupazione. Alla base dei fenomeni di globalizzazione e di delocalizzazione produttiva nei paesi emergenti vi sono molteplici fattori, tra i quali le differenti legislazioni – rispetto alle democrazie occidentali – in materia sociale e ambientale, le quali inesorabilmente si ripercuotono sui costi produttivi, e in particolare sul costo del lavoro; ma è innegabile che vi sia stata e vi sia anche la difficoltà dei paesi occidentali – e in particolare modo dei paesi dell’Unione Europea – di rendere le proprie economie abbastanza dinamiche da adeguarsi rapidamente alle esigenze dei mutati contesti produttivi.

Come si esce da questa situazione? Occorre puntare sui settori innovativi – innanzitutto software,

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farmaceutica, ricerca e sviluppo e internet – come dimostra la storia più recente degli Stati Uniti, nel quale la ripresa economica è in buona parte figlia dei cluster tecnologici. La “forza d’urto” occupazionale dei settori innovativi va ben oltre il numero di lavoratori effettivamente impiegati negli stessi: a causa dell’alta capacità di generare incrementi produttivi e profitti consistenti, tali settori sono in grado di determinare lo sviluppo complessivo delle aree geografiche nei quali sono insediati, determinando un vero e proprio effetto moltiplicatore. Recenti studi dell’economista italiano Enrico Moretti – docente di economia all’Università della California a Berkeley – dimostrano come per ogni posto di lavoro creato nell’hi-tech, vengano a prodursi cinque posti di lavoro fuori dall’ hi-tech aventi caratteristiche di lungo periodo.

Senz’altro si tratta di dati che sono propri di un’economia, quella americana, caratterizzata da un dinamismo differente rispetto a quella italiana; tuttavia l’esempio degli “ecosistemi innovativi” ha degli elementi che possono essere riprodotti nel nostro paese, innanzitutto partendo da una maggiore collaborazione tra scuola e università da un lato e mondo del lavoro dall’altro, sia al fine di facilitare l’inserimento lavorativo dei giovani, sia al fine di innescare quei meccanismi di ricerca e innovazione che sono alla base della creazione di nuove realtà produttive e, conseguentemente, di possibilità occupazionali.

                                                                                        Gianluca Meloni


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