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La crisi afghana e la soluzione uzbeka

Creato il 16 luglio 2013 da Geopoliticarivista @GeopoliticaR
La crisi afghana e la soluzione uzbeka

Pubblichiamo la traduzione italiana del testo del Presidente della Repubblica dell’Uzbekistan Islam Karimov, diffuso presso i mass media il 9 maggio 2013 in occasione della Festa della Memoria (Xotira va Qadrlash Kuni), la celebrazione che ricorda i caduti della Seconda guerra mondiale. Si tratta di un punto di vista importante, perché espresso dal vertice di uno degli Stati più influenti dello scacchiere geopolitico centroasiatico. Dopo una prima parte in cui discute dell’importanza della memoria bellica per l’unità della nazione uzbeka, Karimov illustra alcune direttive della “Concezione della politica estera della Repubblica dell’Uzbekistan”, con particolare riferimento al futuro dell’Afghanistan dopo il ritiro della coalizione ISAF, che desta preoccupazioni in tutti i Paesi confinanti.

 
Oggi il nostro popolo festeggia il sessantottesimo anniversario della vittoria sul Fascismo, ottenuta nella Seconda guerra mondiale il 9 maggio – Giorno della memoria e degli onori. Oggi tutti i nostri compatrioti, adempiendo ai loro doveri umani, si inchinano profondamente e rendono omaggio alla memoria sacra di coloro i quali diedero la propria vita per la liberà della nostra patria e dei nostri limpidi cieli. Lo considero un grande onore per me complimentarmi dal profondo del cuore, in questa occasione importante, con gli illustri partecipanti alla guerra che restano ancora con noi e ci forniscono un esempio spirituale. Allo stesso tempo, auguro profondamente salute e lunga vita a tutti i nostri compatrioti e veterani che lavorarono sodo sul fronte interno, e diedero un enorme contributo alla vittoria in condizioni molto dure.

Oggi, mentre celebriamo questa grande festività, ricordiamo quanto la vittoria conquistata nella Seconda guerra mondiale fu gravosa per il nostro popolo e per le altre nazioni, quante vite furono date e quante perdite sofferte in questo terribile eccidio, oltre al compianto dei numerosi orfani e alle pene e alle sofferenze senza precedenti per la nostra nazione. E possiamo dire che se ricordiamo quei tempi bui che decisero del destino e del futuro dell’intera umanità, allora siamo arrivati più volte a credere che questa guerra sanguinosa non sarà mai cancellata dalla memoria del nostro popolo, e rimarrà nelle nostre menti per sempre. Gli anni e, forse, i secoli passeranno ma questa guerra spietata e crudele rimarrà per sempre nella memoria storica della nostra nazione, perché non c’è una sola famiglia nel nostro paese che non sia stata toccata da questo orrendo eccidio. Oggi in modo particolare non importa a quale persona che vive nel nostro paese parlerete, indipendentemente dalla sua nazionalità, lingua e religione, e non conta che siano passati sessantotto anni da allora; ricorderà certamente con grande dolore e sofferenza questa guerra, le sue infinite ferite insanabili, in modo particolare, che causò gravi perdite alla sua famiglia, ai suoi genitori e avi o parenti.

Attualmente, i più anziani che sono con i loro figli in ogni famiglia del nostro paese celebrano questa data prima di tutto con gratitudine per essere giunti a questo giorno radioso, vivendo di semplici sogni e aspirazioni, cosicché il male della guerra non ritorni. Tuttavia, se sognare e desiderare sono certamente qualcosa, allo stesso tempo bisogna anche combattere per non permettere a simili tragici eventi di succedere ancora e, se è necessario, bisogna indirizzare tutte le proprie forze e capacità sul cammino per il raggiungimento di tale obiettivo. Questo è un requisito decisivo per la vita e i tempi moderni. Ogni persona riflessiva impara dalla storia una lezione, comprende a fondo il valore della pace e pensa alle conseguenze disastrose della guerra, oltre a battersi per cercare dei modi per neutralizzare le diverse minacce e i pericoli oggi emergenti e per instillare una simile disposizione nei nostri figli, i quali non furono testimoni e non videro tali sofferenze. Sono convinto che, in modo particolare i nostri illustri veterani e le persone che hanno sofferto le pene e le avversità della guerra e degli anni ad essa successivi, la pensano in questo modo.

Mentre valutiamo giustamente affermazioni e asserzioni quali “siamo stati noi a sopportare il peso più gravoso della guerra”, espresse ora da alcuni Stati, sarebbe vero dire che il peso e le avversità della guerra furono suddivisi equamente tra tutte le repubbliche che componevano l’ex URSS, le loro popolazioni e migliaia di persone comuni. Parlando in proposito, credo che sia utile fornire qualche cifra. Prima della guerra vivevano in Uzbekistan 6,5 milioni di persone, di cui 1,5 milioni presero parte direttamente agli scontri bellici: circa cinquecentomila nostri compatrioti persero la vita in questa guerra e ancora molti di loro finirono dispersi e tornarono a casa feriti o invalidi – e se prendiamo in considerazione queste cifre non sarà difficile immaginare la portata del contributo dato dalla nostra nazione alla battaglia contro il male del Fascismo. Vorrei che nessuno dimenticasse mai questi numeri. La vita stessa conferma spesso la seguente verità. Vale a dire che ogni persona, ogni nazione che non conosca la storia, che l’abbia dimenticata e non tragga da essa delle conclusioni, può andare alla deriva e ripetere di nuovo gli errori fatti una volta. La storia insegna e mette in guardia. Allo stesso tempo, la storia ci consiglia nello scegliere il giusto cammino. Chi ci istruisce riguardo agli eventi avvenuti nei tempi passati, riguardo a quali conclusioni dovrebbero essere da essi tratte, quali errori non dovrebbero essere ripetuti e quale cammino andrebbe scelto per andare avanti migliorando? Certamente la storia. Esiste al mondo un’altra potenza tanto influente, sicura? Non lo penso. Non importa quanto tempo, non importa quali tempi passeranno, si deve comprendere a fondo la storia e trarre da essa delle conclusioni. In modo particolare, desidero personalmente che oggi – 9 maggio, non dimenticassimo mai questa verità.

Proprio oggigiorno, quando ricordiamo spesso le difficili prove affrontate dal nostro popolo durante la guerra, certamente gli eventi passati ci fanno pensare e ci richiamano a trarre le dovute conclusioni. Non è difficile osservare e comprendere in quali tempi febbrilmente e rapidamente in cambiamento viviamo oggi, con scontri crescenti e minacce in aumento e pericoli intorno a noi. Non è un segreto per nessuno che la guerra che ha avuto luogo in Afghanistan per più di trent’anni sia oggi la minaccia più grande alla pace e alla stabilità nel nostro territorio – la regione dell’Asia Centrale. In passato la nuova generazione, che non sa cosa sia la vita pacifica, è cresciuta in questa terra molto travagliata. I bambini nati quando la guerra è cominciata hanno ora 30-35 anni. Tuttavia un’altra nuova generazione sta crescendo seguendo le orme di questa. Di cosa possono essere testimoni nella loro vita? Non possono assistere ad altro che alla guerra, a gente che uccide e a spargimenti di sangue. Le vite di questa gioventù saranno ristrette a ciò? Pensateci, possiamo chiamarla vita? Non facciamo sì che qualcuno sopporti la tragedia ricaduta sulle spalle del popolo afghano il quale ha visto tanto nella sua vita. Bisogna essere vigili e trarre una certa conclusione. Oggi molti politici internazionali giudicano la situazione attuale in Afghanistan d’indigenza, molto difficile e fragile.

In parole povere, le parti che si fronteggiano si stanno convincendo, e molte persone stanno riconoscendo il fatto, che questa guerra sanguinosa in corso da molti anni non può essere risolta dalla forza militare. Se facciamo attenzione, l’intera comunità internazionale sta chiedendo di fermare questa guerra il prima possibile e portare la pace alla terra afghana. La situazione è arrivata al punto che alcune fazioni che erano pericolosamente contrarie alll’affrontare questa crisi con mezzi politici, stanno cambiando idea. In altre parole, l’unico modo per affrontare questa crisi è una via politica, e non importa quanto sia difficile, si sta affermando il fatto che le forze avversarie dovrebbero essere ricondotte al consenso attraverso i negoziati. In questo contesto molte persone sottolineano che si sviluppa l’opportunità di costituire un governo ad interim, tenere le elezioni e finire per affrontare i problemi decisivi fronteggiati dall’Afghanistan. Il Presidente dell’Uzbekistan è intervenuto al summit della NATO a Bucarest nel 2008, e si è espresso nei confronti dei rappresentanti dei potenti Stati del mondo in modo chiaro riguardo alla ferma posizione del nostro paese sulla questione.

L’essenza di questa iniziativa è stata: in primo luogo, prefigurare il costituirsi di un gruppo di contatto “6+3” sotto l’egida delle Nazioni Unite. Tale gruppo di contatto doveva includere gli Stati Uniti, la Nato e la Russia, oltre ai paesi immediatamente vicini all’Afghanistan. L’obiettivo ultimo del gruppo di contatto “6+3” è proporre un programma di cessate il fuoco alla parti che si combattono in Afghanistan, per cercare soluzioni basate sul consenso ai principali problemi e agli stalli che devastano il paese, assicurare la sicurezza e offrire le necessarie garanzie prendendo in considerazione gli interessi di tutte le parti. Come vediamo, le proposte concrete e costruttive enunciate dall’Uzbekistan al summit sono ancora adesso attuali e pressanti. Anzi, assumono un valore ancora più importante. Fin da quando vivevamo fianco a fianco al popolo dell’Afghanistan come vicini, davamo loro in spose le nostre figlie e prendevamo in matrimonio le loro. Vivendo su entrambe le rive del fiume Amadurja ci siamo sempre fatti visita. Da questo punto di vista il popolo uzbeco, che ha seguito la tragedia afghana più da vicino di qualsiasi altra nazione, ha vissuto nella mente e nel cuore in modo assolutamente diverso gli eventi che hanno luogo in questa terra. Coloro i quali sono lontani dal luogo di questo stallo sanguinoso, sfortunatamente li comprendono e li recepiscono in modo del tutto differente. Ad esempio, se si parla della guerra contro il Vietnam condotta dagli Stati Uniti negli anni ’60 del secolo scorso, le persone in alcuni paesi lontani possono ricordare quegli eventi dicendo che il Vietnam si trova in un’altra parte del mondo e gli avvenimenti in quel paese non hanno niente a che fare con loro. Tuttavia, il nostro destino riguardo al problema dell’Afghanistan è di non avere alcun diritto di pensare in modo simile e di avere un tale approccio, perché la storia si ripeterà di nuovo e causerà problemi a chi non trae delle conclusioni. Se intendiamo pensare al destino dei nostri figli e nipoti, oggi dobbiamo seriamente approfondire questo problema.

Dicono che la storia tende a ripetersi. Nel rivolgermi ai rappresentanti della comunità internazionale nel summit di Bucarest per conto dell’Uzbekistan, dissi con chiarezza di considerare impossibile affrontare il conflitto afghano con mezzi militari. Dissi con risolutezza che se sono inclini a pensare a come fermare la guerra che continua da 35 anni, essa non potrebbe essere affrontata militarmente ma solo con mezzi politici. Da allora sono passati cinque anni. All’epoca i rappresentati dei grandi Stati, l’Unione Europea e altri paesi non presero in considerazione le proposte concrete e le conclusioni enunciate dal leader dell’Uzbekistan. Dunque che succede oggi? Proprio quei politici devono accettare queste proposte per essere i più giusti, ovvero tutti loro stanno concludendo che non c’è davvero una via militare per affrontare il conflitto afghano. Si stanno persuadendo da soli che questa guerra non può essere fermata combattendosi, spargendo sangue e uccidendosi gli uni gli altri. Infatti, come si può sopportare ancora questo orrendo massacro? Lo ripeto ancora una volta – questa crisi può essere affrontata soltanto dal dialogo politico. Sfortunatamente, al momento alcune forze, sia interne che esterne all’Afghanistan, si stanno opponendo alla risoluzione della crisi con mezzi politici cercando di perseguire i loro interessi.

Mi chiedo quante altre giovani vite può portare via questa situazione senza via d’uscita, quanti altri bambini può rendere orfani, quante donne vedove o persone innocenti ferite e storpie? Tuttavia, come vediamo, non c’è alcuna azione concreta che venga attuata per affrontare questa questione. Parliamo dell’arrivo di tutta una nuova generazione ma che sta anche diventando vittima di questa guerra. Di che si tratta? Parliamo al riguardo del destino di un’intera nazione e di un intero paese. Coloro che prima hanno ipotizzato con arroganza che la guerra potesse essere vinta soltanto con la guerra, e che il problema afghano potesse essere affrontato solo con la forza, hanno ora tenuto un basso profilo e rinunciato a una simile arroganza. Adesso hanno affermato che la guerra non può essere vinta in questo modo. Quasi una maggioranza arriva a credere che bombardare i villaggi e le città, oltre ad appiccare il fuoco aggravi lo scontro, e non si può affrontare nulla in questo modo. Chiunque abbia conservato un po’ di doti quali coscienza, saggezza e buon senso, gentilezza e umanità ammette questa verità. Sfortunatamente, non è del tutto sbagliato dire che in Afghanistan e intorno ad esso, oltre a luoghi lontani da questo paese, ci sono coloro che hanno interesse alla guerra e coloro che la dirigono. Essi pongono i loro cattivi interessi prima delle vite di migliaia di persone. E in modo alquanto deplorevole, ci sono molti che tentano di raggiungere i loro scopi infami al fine di accumulare enormi ricchezze, grandi profitti e miliardi di dollari. Si potrebbe dire molto al riguardo. Tuttavia, è ovvio che coloro che guadagnano ricchezze e beni in modi così orribili non se li godranno veramente.

Mi piacerebbe sottolineare ancora una volta che oggi diversi politici e osservatori affermano all’unanimità che non c’è modo di instaurare la pace diverso dal raggiungimento di un accordo comune, e dall’avvio di un dialogo reciproco tra le forze che si fronteggiano. Anzi, sono fiducioso che se queste forze fossero riunite in un luogo d’incontro, indipendentemente da quanto sarebbe difficile per loro oltre alla reciproca sofferenza e animosità, e se venisse loro detto che la soluzione della questione è nelle loro mani e che non c’è altro modo di fermare la guerra, e se la comunità mondiale, in primo luogo le maggiori potenze, restassero ferme su questa posizione politica, allora la soluzione al problema sarebbe certamente trovata. Ma, sfortunatamente, le principali potenze sono occupate a meditare su come spartirsi il mondo, su dove e su quale regione esercitare la loro influenza e chi controllare. Poiché, a mio avviso, più qualsiasi Stato diventa forte e matura un maggior potenziale, più pensa a se stesso, persegue i suoi interessi. Simili “giochi” abituali in passato, esistono oggi e ci saranno in futuro. La nostra nazione ne ha avuto molta esperienza nella sua storia.

Oggi nell’esempio dell’Afghanistan sentiamo di nuovo l’influenza di questi “giochi” politici. Comprendendo che non c’è soluzione militare al conflitto afghano, in questa situazione difficile e minacciosa le forze della NATO, i leader di Stati Uniti e paesi europei stanno pianificando per la fine del 2014 il ritiro delle forze ISAF dall’Afghanistan, che consistono principalmente di truppe americane e di quelle dei paesi europei. Sinceramente parlando, il processo è già iniziato. Tuttavia non è ancora stato articolato. L’obiettivo è quello di non generare preoccupazione tra gli altri e di completare questo lavoro silenziosamente, senza alcuna lamentela, per così dire. Considerando tutto ciò sorge una domanda: quale sarà la situazione in questo paese una volta che le truppe ISAF lasceranno il territorio dell’Afghanistan? Piuttosto sfortunatamente, questo sviluppo aumenterà il pericolo di intensificazione dello scontro tra le forze che si confrontano, dell’ascesa del terrorismo, del traffico di armi e droga, dell’intensificazione dello stallo religioso e interetnico, oltre alla ricomparsa della guerra civile. Eppure un’altra domanda importante è: come influenzerà questa situazione violenta i paesi vicini? Se impariamo le lezioni della storia, tale influenza sarà certamente negativa, ovvero il ritiro delle forze di coalizione dall’Afghanistan senza aver pienamente affrontato la situazione in questo paese farà ancora aumentare le tensioni in Asia Centrale. Come conseguenza, è ovvio che il pericolo per i paesi della regione aumenterà. Ne parlo con grande preoccupazione e tuttavia con delusione. Si tratta di una realtà della vita e non si può sfuggirvi. Il nostro popolo deve saperlo.

Rispondendo alla domanda circa quale dovrebbe essere il nostro approccio e la nostra politica riguardo a questa questione, vorrei dire che in questa pericolosa situazione adottare tutte le misure necessarie per sostenere lo sviluppo nazionale e i tassi di crescita del paese e, cosa più importante, assicurare una vita pacifica e tranquilla al nostro popolo restano tra i compiti prioritari davanti a noi. La politica dell’Uzbekistan nei confronti dell’Afghanistan è chiara e aperta. L’Uzbekistan sostiene la non interferenza negli affari interni dell’Afghanistan, la non partecipazione a qualsiasi alleanza politico-militare contro l’Afghanistan, lo sviluppo dei nostri legami e della cooperazione con questo paese soltanto bilateralmente, supportando il governo scelto dal popolo afghano. Un simile approccio e una simile posizione sono promossi dalle leggi adottate nel nostro paese. Proprio il perseguimento di questa politica presuppone quanto segue:

  • Non partecipare ai “giochi” di qualcuno;
  • Vivere in pace e tranquillità con i vicini;
  • Proteggere la pace e gli interessi del paese.

 
Tutto quanto sopramenzionato è richiesto dalle lezioni della nostra storia recente e dai tempi estremamente difficili in cui ora stiamo vivendo. Nel 2012 abbiamo adottato la legge “Sul concetto di attività di politica estera della Repubblica dell’Uzbekistan”. Qual è il valore di questa legge? Se consideriamo la guerra in corso in Afghanistan da più di trent’anni, durante questo periodo furono espresse molte idee confuse, contraddittorie e qualche volta del tutto in conflitto riguardo a questo problema. Per esempio, stando lontano, al di là degli oceani, un gruppo di politici fece molte promesse dicendo di essere pronto a instaurare la pace in questa terra. Tuttavia un altro gruppo ha conservato un linguaggio ottuso e delle pretese. E ce ne sono molti. Possiamo vedere in molti esempi che invece di offrire un supporto concreto e dare consigli utili, erano impegnati con varie azioni eversive e chiacchiere. Hanno così ostacolato il ristabilimento della situazione. In breve, si sta facendo più evidente che i politici di alcuni paesi hanno lanciato un grande “gioco” intorno al problema afghano.

Dapprima può sembrare che tutti vogliano la pace. Tuttavia, se viene loro chiesto cosa stanno facendo in realtà, allora avranno difficoltà a inventarsi una risposta chiara. Diverse conferenze, summit, numerosi incontri e dialoghi hanno luogo su questo argomento. Per dirla in breve, chiunque si consideri un politico vuole guadagnare autorità trattando di questo argomento. Se non avete un effettivo suggerimento o un programma concreto, perché sviate voi stessi e gli altri? L’Afghanistan non condivide prima di tutto un confine comune con l’Uzbekistan, il Tajikistan e il Turkmenistan? Perciò i paesi vicini sanno quanto sia estremamente pericoloso questo problema. Pertanto l’Uzbekistan si è sempre appassionato a questa questione. Gli altri restano in disparte come spettatori. Ciononostante sulla soglia di chi questo problema resterà come un flagello? Sulle teste di chi questi “giochi” frivoli riverseranno i problemi? L’esercito sovietico invase l’Afghanistan nel 1979 e lo lasciò nel 1989. Dovremmo o non dovremmo trarne le giuste conclusioni? Quelli della nostra generazione più anziana hanno assistito a questa storia essi stessi. Molti dei nostri giovani morirono in questa guerra e molti altri furono menomati. Bene, chi dovrebbe essere responsabile di ciò? Nel 1989, alla fine della guerra, vedemmo i generali sovietici saltare giù da un veicolo in coda nel corteo militare che attraversava il ponte Khayraton presso Terniz e fare con arroganza il saluto, come se fossero tornati vittoriosi. Ditemi, che tipo di vittoria fu quella? Quei generali si sono volatilizzati nel nulla. Chi ha sofferto per la pericolosa situazione che si sviluppò in Afghanistan dopo che se ne furono andati – non furono l’Uzbekistan, il Tajikistan e il Turkmenistan?

Da questo punto di vista, anche le forze ISAF lasceranno presto l’Afghanistan. Ma qualcuno lontano vuole di nuovo dare ordini, incitare contro l’Afghanistan mentre si resta fuori dalla guerra. Traendo una conclusione da tutto ciò, di cosa abbiamo bisogno? Abbiamo bisogno di pace! Ripeto che abbiamo bisogno di pace e armonia con i paesi vicini. Basandoci su una simile conclusione, abbiamo definito in modo giuridico i principi esaurientemente ben fondati della nostra politica estera. Durante l’epoca sovietica fummo obbligati a partecipare alla guerra afghana. C’è un detto tra la nostra gente che recita così: “un cieco non perde mai il suo bastone due volte”. Pertanto, non ci uniremo ad alcun blocco militare né agiremo contro l’Afghanistan. Blocchi simili vanno e vengono, compiono la loro missione mentre noi dovremo restare qui e vivere sempre fianco a fianco con il popolo afghano. Se abbiamo interesse e se il popolo afghano ha interesse, istituiremo soltanto delle relazioni bilaterali e le sosterremo. La nostra nazione, che ha grande esperienza della vita, sa bene come curare i rapporti di buon vicinato. Dato che abbiamo sempre mantenuto la nostra identità nazionale, la gentilezza e la compassione nei rapporti con i nostri vicini. L’appello secondo cui abbiamo bisogno di pace deve diventare un solo e unico appello per tutta la nostra nazione. L’Uzbekistan ha bisogno di pace e di vita tranquilla. Non abbiamo bisogno di ostacoli al nostro progresso. Non vogliamo affatto avere problemi prendendo parte ai “giochi” orchestrati da alcuni paesi.

Lo sottolineo ancora una volta che non ci uniremo ad alcun blocco militare. Qualunque sia il suo nome, se ne osserviamo la vera essenza, risulta essere una struttura militare. Non faremo parte di simili blocchi. Voglio evidenziare più volte che avevamo annunciato al mondo intero che abbiamo scelto il giusto cammino per noi, ovvero perseguire la nostra politica basata sull’imparare una lezione e trarre conclusioni dalla storia. Non c’è un solo paese al mondo che si sia opposto alla nostra decisione. Ci sono certamente coloro ai quali una simile politica non piace. Tuttavia, la nostra politica è pienamente conforme allo statuto e alle risoluzioni delle Nazioni Unite, oltre ai principi dell’umanesimo. Di conseguenza, queste forze non possono esprimere apertamente il loro disappunto. La politica dell’Uzbekistan è di mantenere la pace e la stabilità, condurre la politica avendo in mente il futuro e l’unità della nostra società intorno a questi obiettivi. Su quali criteri e fattori dovremmo basarci per implementare questa politica? Il primo e principale fattore su cui dovremmo fermamente basarci nei nostri sforzi sono la pace e la tranquillità.

Sappiamo tutti che ogni qualvolta il nostro popolo rivolge una preghiera, chiede, in primo luogo, pace e tranquillità. La invocano da Dio onnipotente. Queste due parole sono nel sangue, nel profondo del cuore e nelle ossa del nostro popolo e sono diventate il significato delle nostre vite – un valore senza prezzo. Il nostro popolo accoglie il sole luminoso che splende su di esso e questo cielo blu come una grande felicità, li prende come segni di pace, tranquillità e prosperità. Il popolo che vive con sentimenti di gratitudine sotto un simile cielo limpido vuole condividere questa felicità e gioire con gli altri, godersi la vita con la famiglia e gli amici. Un essere umano è in effetti creato per la felicità. Un essere umano nasce per vivere la vita che un essere umano merita. Come sappiamo, presto festeggeremo solennemente il ventiduesimo anniversario dell’indipendenza della nostra patria. Riassumendo il cammino percorso in passato possiamo dire che abbiamo raggiunto enormi tassi di crescita nello sviluppo dell’Uzbekistan, assicurando risultati e obiettivi che suscitano la simpatia e attirano l’attenzione degli altri. Nessuno può negarlo. Pace e tranquillità, armonia interetnica e internazionale, reciproca benevolenza, cortesia e unità rappresentano i principali fattori delle nostre conquiste. Infatti il progresso ci sarà dove regna la pace. Lo sviluppo e la prosperità non possono essere consolidati in un gruppo o in un paese lacerato da reciproca invidia, istigazione e discordia. Dobbiamo assimilare questa verità nel profondo delle nostre coscienze e non dimenticarne mai il valore.

La seconda questione è che la pace non verrà fuori dal nulla. Dato che la pace e la tranquillità costituiscono la base del nostro sviluppo indipendente e della nostra vita prospera, bisogna lottare per esse e, se necessario, deve essere mostrato altruismo su questo cammino. È passato da molto il tempo dei punti di vista inaccettabili, come aspettare pigramente che qualcosa sia fatto per noi da altri. La nostra gioventù di oggi non accetterà mai queste vedute ristrette. I nostri figli e le nostre figlie che si rendono conto di chi sono e da chi discendono, padroneggiano la scienza moderna e le professioni, pensano ora in modo totalmente diverso.
La condizione più importante per la vita pacifica e tranquilla, oltre alla stabilità, è il non permettere negligenza e leggerezza, essere sempre vigili, attenti e cauti e vivere traendo conclusioni sia dalla storia che dalla vita. Mi auguro che tali punti di vista e opinioni si trasformino in obiettivi di vita per ognuno dei nostri patrioti che vivono in questa cara terra natia. Per un uomo attento è più facile prevedere e prevenire il pericolo proveniente da qualche altra parte. Se non ci si occupa dei problemi nel tempo dovuto e se vengono trascurati, sarà estremamente difficile superarli. Questa verità è stata provata molte volte durante la nostra storia millenaria. Se il pericolo viene previsto, allora può essere gestito, se non lo è – non ci sarà né tempo né modo di combatterlo.

A questo proposito, voglio portare la vostra attenzione su ancora un altro concetto. Se il popolo che vive nella nostra bella e unica terra, soprattutto la nostra gioventù – i nostri figli – vivranno e diranno che “questa patria è mia. Chi lotterà per proteggerla e difenderla dai pericoli e dalle avversità se non io?”, se questo approccio diventerà il più grande appello e motto per la vita per i nostri figli in crescita, se si assicurerà un posto nel profondo delle loro anime e menti, allora ditemi, può mai questa nazione essere deviata dal suo cammino ed essere sconfitta?! Se ognuno di noi vivrà con un tale nobile scopo in questo tempo difficile, prima di tutto non saremo inferiori a nessuno e, secondo, saranno certamente nostri futuro e radiosi orizzonti. La principale conclusione derivante da questa cerimonia e da questa festività è che se consideriamo tutte le avversità, i tanti sacrifici, le perdite e le sofferenze del nostro popolo e del paese, sono fiducioso che la nostra nazione non sia mai venuta meno di fronte a tali traversie, sconvolgimenti e tempeste. La nostra nazione ha sempre superato tutti i problemi lodevolmente, ha mostrato eroismo e determinazione oltre a non essersi mai consegnata a nessuno, e sono convinto che mai lo farà e raggiungerà certamente i suoi scopi e obiettivi. Il mio augurio è che Dio onnipotente protegga il nostro paese e il nostro popolo dal male e dall’invidia! Che faccia essere felice ogni famiglia, ogni essere umano e ogni compatriota! Faccia sì che pace e tranquillità li accompagnino sempre!

(Traduzione dall’inglese di Giulia Renna)


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