La crisi economica attanaglia l’Europa: Portogallo, Irlanda, Grecia, Italia e Spagna (i PIGS) sono in sofferenza; anche la Francia inizia a perdere colpi. Come se la passano gli stati est europei o “centro orientali” invece?
Premessa. Per approfondire la conoscienza della storia dell’ “Europa dell’Est“, un argomento taciuto nei licei italiani ma il cui studio dovrebbe essere invece obbligatotrio perche’ ci consente di capire meglio anche la “nostra storia” e certe dinamiche geopolitiche ancora in atto, l’ISPI consiglia la lettura del libro di Stefano Bottoni “Un altro Novecento. L’Europa orientale dal 1919 a oggi“.
Questa la recensione su IBS:
“La metà orientale del continente europeo ha attraversato nell’ultimo secolo rivolgimenti politici, tensioni sociali e conflitti etnici che ne hanno profondamente deviato e rallentato lo sviluppo. Con il fallimento del sistema di Versailles, gli Stati della regione divennero uno dei teatri principali dell’espansione nazionalsocialista e dello sterminio degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale. La vittoria dell’Unione Sovietica portò a una liberazione/occupazione, all’egemonia comunista e alla creazione di un blocco politico, economico e militare rimasto in vita per quasi mezzo secolo. Dopo il biennio rivoluzionario 1989-91, le guerre balcaniche e il difficile cammino d’integrazione con la ue, i venti Stati postcomunisti e postsovietici si misurano con gravi problemi sociali ed etnici ereditati dal sistema comunista o aggravatisi durante la transizione democratica. Il volume fornisce una sintesi interpretativa rivolta agli specialisti e a tutti i lettori interessati alla storia recente di un’area periferica, i cui problemi e le cui esigenze incidono in maniera crescente sulle dinamiche politiche e sociali di un continente formalmente riunificato ma tuttora diviso da muri invisibili e diffidenze reciproche. “
Detto cio’, veniamo adesso alla crisi dell’Euro-zona e al ruolo degli stati est europei e della Polonia in particolare.
Stralci tratti dal paper intitolato:
“Banche in Est Europa: dal boom alla crisi e ritorno”;
“La crisi del 2008-2009 non ha risparmiato i paesi dell’Europa Centro Orientale, sebbene in un contesto di ampia differenziazione delle performance tra le varie economie: a titolo di esempio, la Polonia è stato l’unico paese in Europa a evitare la recessione; al contrario, il collasso delle economie dei tre paesi Baltici e dell’Ucraina nel corso del 2009 (in termini di PIL) è stato il più consistente tra i quasi 200 paesi monitorati a livello mondiale…. Già nella seconda metà del 2009 sono emersi segnali di miglioramento sia in termini di produzione industriale sia per quanto concerne gli aggregati bancari. Questi segnali sono andati consolidandosi nel corso del 2010, con ritmo però diverso a seconda dei paesi. La debolezza della domanda interna e la tardiva ripresa della crescita economica, unitamente all’elevata dipendenza dal rifinanziamento dall’estero, hanno influenzato negativamente la dinamica del credito nel periodo immediatamente successivo alla crisi soprattutto in alcuni paesi. È il caso in particolare della Romania, Ungheria, Bulgaria e i paesi Baltici dove la debolezza del ciclo economico, unitamente a un processo di graduale deleveraging (spiegato anche dalla scarsa domanda di nuovi finanziamenti), sono stati tra i principali fattori alla base della lenta ripresa dell’attività creditizia. Diverso è il caso di economie caratterizzate da una solida domanda interna, come la Polonia, e di economie più stabili come la Repubblica Ceca e la Slovacchia, dove la dinamica del credito ha beneficiato di una più rapida ripresa economica e di una posizione più bilanciata del sistema bancario…
In sintesi, i paesi un tempo “oltrecortina” sono maggiormente protetti rispetto alla crisi debitoria (solo l’Ungheria ha un rapporto debito/PIL superiore al 60%) e il settore finanziario della regione mostra prospettive migliori rispetto a quello dell’Europa Occidentale; al contempo però tali paesi sono strettamente legati al ciclo economico europeo e il sistema finanziario dei paesi della regione, dominato da players esteri, è indissolubilmente legato alle dinamiche bancarie dei paesi dell’Europa Occidentale.”
Stralci tratti dal paper intitolato:
“Europa centro-orientale: al riparo (per ora) dell’eurocrisi(*)”;
“Tra i paesi ancora fuori dall’eurozona, e in attesa di adottare l’euro, la Polonia si posiziona particolarmente bene. Nel 2010 l’economia polacca è cresciuta del 3,8%, seconda solo alla Slovacchia, e le stime preliminari per il 2011 indicano una crescita al 4%, più del doppio della media UE. Come ulteriore elemento positivo di questi dati di crescita, va sottolineato che vi è stato un forte contributo dei consumi privati interni, e in Polonia la domanda estera ha avuto un ruolo più contenuto rispetto ad altri paesi. Secondo le stime della Banca Centrale polacca, il 50% della crescita economica del 2010 è dovuta ad aumenti della spesa delle famiglie. Anche gli investimenti, che per il 2010 nel complesso mostrano ancora un segno negativo, nell’ultima parte dello scorso anno e nei primi mesi del 2011 hanno invertito la tendenza e sono tornati a crescere. Dunque il processo di convergenza anche in termini di reddito pro capite e tenore di vita procede, anche se i livelli di reddito sono ancora relativamente bassi. Proprio questo gap è però anche una spinta alla crescita, da diversi punti di vista. I redditi ancora contenuti lasciano spazio per una crescita dei salari e dei redditi (e quindi dei consumi), pur consentendo al paese di rimanere decisamente competitivo. La Polonia, infatti, come e più di altri paesi dell’area, continua a essere fortemente attrattiva per la delocalizzazione produttiva e per gli investimenti diretti esteri in entrata, e continua ad avere una forte capacità esportativa, soprattutto grazie all’intensa integrazione produttiva in molti settori con imprese tedesche. La caduta delle esportazioni del 2009 è stata completamente recuperata nel 2010 con un aumento dell’export del 10% in corso d’anno. Inoltre, date le dimensioni rilevanti del mercato nazionale, la domanda interna è molto lontana dall’essere saturata e può continuare a crescere ancora, anche in parte indipendentemente dalla congiuntura internazionale, come si è registrato negli ultimi mesi.”
A cosa e’ dovuto il successo della Polonia? Vediamo alcuni stralci tratti dal paper:
“Polonia: una nuova potenza europea alle urne?(*)“;
La Polonia, il paese più grande tra quelli entrati nel 2004 a far parte dell’Unione europea (Ue), dopo aver innescato con gli scioperi di Danzica e la Tavola rotonda del 1989 l’ondata di democratizzazione che fece implodere il sistema sovietico e condusse all’unificazione europea, continua a stupire per la sua capacità di adattamento e cambiamento. Le “refolutions”, così come le definì Garton Ash, un misto di rivoluzione e riforme, furono ispirate dalla volontà di ricongiungersi con l’altra metà dell’Europa, quella democratica, economicamente fiorente e integrata e dal desiderio di riconquistare la perduta “normalità”. La Polonia non solo è un paese europeo, membro della Nato, quindi un paese “normale” ma ormai, sia rispetto ai nuovi che persino ai vecchi stati membri, mostra inattesi segnali di vitalità e assertività. Durante la crisi finanziaria ed economica mondiale del 2008-2010 la Polonia è stato il paese più resiliente della Ue con un tasso di crescita già nel 2001 intorno al 4%.
All’interno dell’Ue, la Polonia si è già affermata come uno dei paesi maggiormente influenti grazie anche a una forte intesa con Germania e Francia. In questo contesto l’esercizio della presidenza di turno dell’Ue, che si concluderà a fine anno, offre un’ulteriore occasione di prestigio e visibilità alla leadership del paese. Sul piano internazionale, l’avvio di una fase conciliante nelle relazioni con Mosca e la “risintonizzazione” con gli Stati Uniti, seguita al raffreddamento che aveva accompagnato l’avvento della presidenza Obama (n.b. leggi qui e “Lech Walesa refuses meeting with Barack Obama”, consentono al paese di rafforzare il proprio status internazionale e allo stesso tempo di potersi concentrare sulle questioni più urgenti di politica interna.
Ci sono i cosiddetti leftovers (n.b. avanzi) della trasformazione che ormai coincidono con le riforme strutturali che la gran parte degli stati membri Ue devono affrontare (riforma pensioni, sanità, istruzione).
Secondo il rapporto della Conferenza Onu sul commercio e lo sviluppo (Unctad) la Polonia è sesta (era undicesima nel precedente rapporto del 2010) per attrattività degli investimenti (precedono la Polonia paesi quali Cina, Stati Uniti, India, Brasile e Russia) e Cracovia è considerata la migliore destinazione per aprire centri di servizi. (N.b. come accennavo in un post recente, la compagnia petrolifera Bp si sta progressivamente disimpegnando dall’Italia per delocalizzare in Polonia)…. Il trend positivo dovrebbe continuare nel 2012 quando nuovi investimenti (soprattutto in infrastrutture) ed entrate saranno assicurati dall’organizzazione – congiunta con l’Ucraina – degli Europei di calcio. Grazie ai fondi della presidenza di turno, la Polonia ha avuto a disposizione un budget di oltre 1 milione di euro per un programma culturale trasversale in un paese in cui anche la cultura è in grande fermento: c’è attesa per l’imponente edificio di 35mila mq per 100 milioni d’investimento che dovrà ospitare il Moma polacco. In un vecchio quartiere popolare della capitale chiamato Praga, dove è stato costruito lo stadio che ospiterà gli Europei di calcio 2012, il fondo immobiliare Black Lion sta conducendo un’importante operazione di riqualificazione urbana che include un complesso ottocentesco nominato Soho Factory dove si sono già trasferiti studi di architettura e gli uffici di riviste di design e lifestyle. Il governo, sotto la pressione delle associazioni culturali, ha deciso di incrementare la spesa per la cultura all’1% del Pil.
La Polonia, inoltre, potrebbe a breve giovarsi, sia in termini economici che geopolitici, della scoperta d’ingenti risorse di gas derivante da scisti argillosi. Pochi mesi fa «Gazeta Wyborcza» annunciava La Polonia galleggia sul gas, riportando i dati di un rapporto sulle riserve di gas di scisto in 32 paesi del mondo pubblicato dall’Energy Information Agency (Eia). Secondo il rapporto, le riserve della Polonia di gas di scisto ammonterebbero a 5.300 miliardi di metri cubi e potrebbero durare per 380 anni, a meno di un drastico incremento nei consumi. La Polonia potrebbe quindi a breve trasformarsi da paese importatore a paese esportatore, affrancandosi e affrancando, almeno in parte, anche altri paesi (per esempio Baltici e Germania) dalla dipendenza del gas russo. Nel 2010 Varsavia ha firmato un accordo con Washington e si è unita al progetto Global Shale Gas Initiative, sponsorizzato dagli Stati Uniti.”
Per adesso non voglio infierire oltre!
Il Dossier completo sulla contrapposizione della “vecchia Europa” con la “nuova Europa”, ricco di approfondimenti, e’ disponibile sul sito web dell’ISPI, qui.
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