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La crisi di suez, 26 luglio 1956

Creato il 26 luglio 2013 da Postpopuli @PostPopuli


di Emiliano Morozzi

26 luglio 1956, con la nazionalizzazione da parte dell’Egitto della compagnia che gestiva il canale e i relativi guadagni, scoppia la “Crisi di Suez“, che rischierà di portare il mondo di fronte ad un nuovo conflitto mondiale.

Facciamo un salto indietro al 1952, quando un gruppo di generali egiziani rovesciò la monarchia e instaurò nel paese un governo monocolore che faceva della piena indipendenza dell’Egitto un punto focale del proprio programma politico. Negli anni successivi il capo di stato egiziano Nasser cercò per via diplomatica di far sgomberare le truppe inglesi presenti in Egitto e allo stesso tempo ostacolò ripetutamente il traffico dei mercantili israeliani che transitavano attraverso il canale di Suez.

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Il presidente egiziano Nasser (casoesse.org)

I rapporti con il neonato stato ebraico divennero sempre più tesi, sia per le incursioni dell’esercito israeliano, sia per l’infiltrazione attraverso l’Egitto di gruppi armati palestinesi nel territorio d’Israele. Quando Nasser decise di nazionalizzare la compagnia che gestiva il Canale di Suez, per finanziare con il ricavato la costruzione della diga di Assuan, gli stati che vedevano minacciati da questa mossa i loro interessi nell’area decisero subito di intervenire militarmente contro la repubblica egiziana. Lo stato di Israele poteva finalmente conquistare la penisola del Sinai e vibrare un duro colpo ai guerriglieri palestinesi, inglesi e francesi invece, oltre a mettere di nuovo le mani sugli incassi della compagnia e tornare a controllare così una arteria di vitale importanza per il traffico mercantile e petrolifero, volevano dare dimostrazione di potenza militare autonoma, smarcandosi dal controllo degli Stati Uniti.

Il piano prevedeva un’iniziale invasione del Sinai da parte di Israele: una volta raggiunto il canale da parte delle truppe che portavano sui propri mezzi la stella di Davide, sarebbero intervenuta una forza congiunta anglo-francese, sulla carta per separare i contendenti, in pratica per occupare militarmente la zona del canale. L’azione fu rapida e travolse le difese egiziane: partiti il 29 ottobre, in pochi giorni i soldati israeliani occuparono la penisola del Sinai e ai primi di novembre, come stabiliva l’accordo segreto tra i tre stati, Francia e Gran Bretagna offrirono all’Egitto di spedire proprie truppe lungo il Canale di Suez per ristabilire la pace. La risposta egiziana fu un secco no e addirittura Nasser fece affondare tutte le navi presenti nel canale, chiudendolo al traffico. A quel punto, le truppe anglo-francesi occuparono la zona del canale, spezzando in poco tempo la resistenza egiziana.

Se dal punto di vista militare l’operazione si concluse con il pieno successo delle forze attaccanti, dal punto di vista politico l’ostilità delle due superpotenze costrinse Israele, Gran Bretagna e Francia a ritirare le truppe pochi mesi dopo l’invasione. L’Unione Sovietica, che riforniva di armi l’Egitto, minacciò una rappresaglia nei confronti di Francia e Gran Bretagna, arrivando a paventare persino il bombardamento nucleare di Londra e Parigi. Dall’altra parte gli Stati Uniti, che avevano fortemente criticato l’invasione sovietica dell’Ungheria ma non avevano aperto bocca contro i propri alleati, usarono invece l’arma della pressione economica per convincere Francia e Gran Bretagna al ritiro.

Fu questo l’ultimo colpo di coda delle potenze coloniali che avevano dominato il mondo nell’Ottocento: Francia e Gran Bretagna non avrebbero più preso iniziative senza il preventivo consenso degli Stati Uniti. Passando invece all‘Egitto e all’attualità, forse si comprende il timore degli stati occidentali per l’insediamento di un regime militare nello stato: i nuovi padroni dell’Egitto hanno promesso che non cambieranno i rapporti con le potenze occidentali, ma i soldi della Compagnia del Canale di Suez e la possibilità di avere il controllo su un’arteria marittima lungo la quale passano le merci ma soprattutto il petrolio del mondo arabo, possono spingere il nuovo governo a provvedimenti che metterebbero davvero in serio pericolo la pace in quella zona del Medio Oriente.

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