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La crisi non fa figli

Da Tiz

Oggi rispondo alla mia amica Elena e al suo servizio sul calo delle nascite nel nostro territorio.

La crisi non fa figli

400 bambini in meno in un anno non sono pochi (approposito Elena… avete guardato i dati degli ospedali, ma non i nati in casa!). Parliamo di una provincia e di certo non una delle più povere d’Italia.

C’è un nesso tra crisi economica e calo della natalità? Certo, ma solo se aggiungiamo un fattore determinante: la percezione che abbiamo di quelli che sono i bisogni dei bambini.

Mi spiego: il discorso del “Coraggiosi a fare il quarto, con questa crisi è difficile mantenerne uno” ce lo sentiamo ripetere continuamente. Ma ragioniamo… pensiamo ai nostri genitori, quelli nati negli anni ’40 come i miei genitori o i miei suoceri. Sono nati durante una Guerra Mondiale (padri prigionieri in Germania, fuggiaschi nei campi, madri sole a tirare avanti circondate da un esercito di occupazione e con la paura dei bombardamenti…) o poco dopo, quando tutto era ancora da ricostruire. Dai loro racconti (ricchi comunque di aneddoti divertenti e allegri) si capisce che la loro infanzia non è stata minimamente paragonabile alla nostra.

La crisi non fa figli
Ma allora: pazzi e incoscienti i nostri nonni a mettere al mondo figli in quelle condizioni! Be’, dico io, per fortuna che lo sono stati…

E poi ci sono stati gli anni ’60 e ’70, quelli in cui siamo nati noi (parlo di me, Andrea, i nostri amici): una guerra, quella del Vietnam, che ha segnato il mondo, guerre civili e colpi di Stato riusciti o meno, l’austerity causata dall’aumento del costo del petrolio (già allora), terroristi di destra e di sinistra che facevano saltare piazze e stazioni (date un’occhiata a Wikipedia)… ma che gli è venuto in testa ai nostri genitori di metterci al mondo con quei presupposti?!? Eppure gli anni ’60 sono stati quelli del baby-boom e gli anni ’70 erano di poco sotto quelle cifre.

La crisi non fa figli
Cosa è cambiato, perché adesso la crisi mette “in crisi” le famiglie? Due cose, a mio avviso. La prima è quella a cui ho accennato all’inizio: la percezione che abbiamo dei bisogni dei bambini. Un anno fa scrivevo questo articolo su quelle che erano le stime di Federconsumatori relative al costo sostenuto da una famiglia per un bebè nel primo anno di vita (interessante sull’argomento il libro di Giorgia Cozza “Bebè a costo zero”). Ormai siamo talmente abituati ad essere “consumatori” di quello che pubblicità e negozi ci propinano che non ci rendiamo conto che buona parte dei nostri stipendi va a coprire bisogni che ci sono stati indotti e che in realtà non abbiamo. La nascita di un bambino e le varie fasi della sua crescita sono una miniera d’oro per le aziende… non comprare nulla (o comprare poco) fa sentire i genitori inadeguati, l’amore si misura spesso con quello che si possiede e si dona in termine di oggetti e sempre meno in termini di attenzione e tempo.

Per questo la televisione ci bombarda di pubblicità di prodotti per la prima infanzia… mira a creare sensi di colpa nei genitori e a far credere loro che i figli abbiano determinati bisogni (ci sarà abbastanza ferro nella sua dieta se non gli compro l’omogeneizzato? crescerà “sveglio” anche senza quel gioco “stimolante”? riuscirà a camminare bene senza quel tipo di scarpine?…); ed ecco che il bambino diventa qualcosa di “costoso”, che ci si può “permettere” a seconda del proprio stipendio anziché una persona da amare ed accogliere… e i veri bisogni dei bambini rimangono spesso inascoltati.

La crisi non fa figli
“Piccoli non costano, ma vedrai quando diventeranno grandi…” eccola la seconda critica che arriva una volta smontata la prima. Ma siamo davvero sicuri che nel futuro avranno “bisogno” dei jeans firmati, del cellulare a 8 anni, di genitori che li mantengono 15 anni all’università? Io, ma qui entriamo nelle opinioni personali ritengo che valga di più un fratello/sorella con cui condividere l’infanzia (e la vita) che non l’I-Phone… che sia meglio arrivare a desiderare un oggetto per poi guadagnarselo, piuttosto di crescere con l’idea che tutto è dovuto e rimanere senza desideri

Ma tornando alle motivazioni per cui adesso la crisi fa calare le nascite mentre decenni fa non aveva alcuna influenza si arriva ad un problema vero: quello del tessuto sociale. Quando io e mio fratello eravamo piccoli vestiti, carrozzine, passeggini, lettini facevano il giro di cugino in cugino, la vita di questi oggetti veniva allungata il più possibile. Io riesco a farlo ancora adesso: il lettino che i miei genitori ci hanno regalato alla nascita di Tabita è stato usato per Luca, per le figlie di mia cugina e poi è tornato giusto in tempo per Febe. Ma poi ho anche un giro di amicizie per cui ricevo vestiti per Tabita, per Febe e in arrivo ci sono anche quelli per il pargolo in pancia… inoltre ho un aiuto pratico da parte di mia mamma che viene spesso a darmi una mano in casa, di mia suocera che stira e questo mi consente di avere anche attività e interessi miei.

Ma per chi non ha la famiglia di origine vicina o già una rete di amicizie, molti problemi possono diventare insormontabili e avere un figlio può pesare di più. Per fortuna sempre più persone si organizzano, dando vita a nuove realtà come i GAS o le associazioni che raccolgono e smistano abbigliamento usato o ancora le associazioni mamme-per-mamme…

Per concludere la crisi influenza la natalità perché noi le permettiamo di farlo, perché guardiamo al “costo” di un figlio anziché alla ricchezza che ogni nuova nascita porta con sè!

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