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La critica e l’autorevolezza

Creato il 20 marzo 2011 da Antonio Maccioni

La critica e l’autorevolezzaLa relazione tra la Rete e la carta richiama due questioni cruciali: l’autorevolezza e il rapporto tra critica letteraria e cronaca culturale. Rispolvero un vecchio pamphlet pubblicato nel 2004 non tanto per il suo valore in sé, quanto perché ritrovo gli stessi argomenti (qui utilizzati nella critica del rapporto tra i media tradizionali) e le stesse categorie che insieme ad altre stanno al centro del dibattito sugli attuali sviluppi dell’industria editoriale. Il mio dubbio è che lo stesso volumetto Contro la Terza Pagina di Angelo Lorenzo Crespi non faccia altro che devenire epigono di quel sistema che tenta di criticare: a leggerlo vi renderete facilmente conto di come la prassi del libro (accidentalmente definito pamphlet) non faccia altro che ricalcare e richiamare una logica consolidata. C’è sempre un critico letterario che diventa quasi autore, c’è il giornalista legato alla politica: che altro?

Interessante è comunque il breve excursus su quella terza pagina che sarebbe divenuta luogo “sacro anche per il lettore medio”, davanti a una cultura “come quella italiana circoscritta e autoreferenziale”, ma che “si imponeva come imprescindibile, battagliava, polemizzava, e contribuiva, pur sempre, alla crescita dell’opinione pubblica”. Così un tempo.

Riporto alcune annotazioni interessanti e pur sempre discutibili. Il primo ordine di problemi richiamato dalla questione dell’autorevolezza riguarda “lo strapotere delle case editrici, che in alcuni casi sono proprietarie dei quotidiani o fanno parte del medesimo gruppo editoriale”. La terza pagina è diventata l’altoparlante dell’industria culturale e della sua “straripante” produzione, “spesso di scarso valore, ma che deve in ogni caso vendere, e come tale va servita”. La “cronaca culturale”, superata la critica letteraria e passata attraverso la pura logica del “favore”, spacciandosi per “neutralità”, non vuole far altro che “indirizzare il lettore verso un acquisto e non più verso un pensiero”.

L’autorevolezza, ad ogni modo, ha già lasciato spazio all’infotainment, a un giornalismo che unisce l’informazione all’intrattenimento per adattarsi a un pubblico sempre più televisivo e a un palinsesto che detta quotidianamente l’agenda. Lo fa veolcemente, perché non a caso “in televisione è vietato fermarsi a pensare, anche una breve pausa della persona inquadrata impone al regista un cambio d’immagine, uno stacco, anche la domanda della vita deve essere risolta nei canonici 10/15 secondi”. Come è chiaro sulla questione potrebbe essere rispolverata una letteratura sterminata: in questo caso mi limito a riproporre il dibattito sulla responsabilità dell’autore, in modo particolare i differenti punti di vista sulle pagine culturali dei nostri quotidiani e dei settimanali.


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