di Marco Meschini
Il grande fenomeno collettivo delle crociate non riguardava solo potenti e soldati, ma gli umili e gli ultimi della società. Anche i bambini. Desiderosi di convertire gli infedeli, senza le armi. Non andranno a buon fine, ma rimangono un segno importante per cogliere lo spirito dell’epoca.
Pietro l'Eremita alla testa della Prima Crociata - miniatura dal "Roman du Chevalier du Cygne", 1270 - BnF, Ms. 3139 fol. 176v.
Se c’è una cosa da ricordare sempre, in tema di crociate, è che esse sorsero dalla interazione – e talvolta dal contrasto – tra l’elemento ecclesiastico e quello laico. È vero, infatti, che la Chiesa e i papi in particolare promossero decisamente le crociate (è appunto l’elemento ecclesiastico), ma è altrettanto vero che pure i laici ne furono protagonisti e promotori primi (principi e sovrani soprattutto). Basti ricordare il caso emblematico della prima crociata (1096- 1099), sorta da due idee e iniziative concomitanti: quella di papa Urbano II e quella di Pietro l’Eremita, che si svolsero pressoché contemporaneamente e con obiettivi simili, pur partendo da vari presupposti diversi. E difatti l’avventura militare della “prima crociata” fu la sommatoria – con una coerenza strutturale ben lontana dall’optimum – di diverse armate, arruolate talune da predicatori e capi carismatici come Pietro e altre, le più e meglio organizzate, dai principi secolari che avevano risposto all’appello pontificio.
L’esempio di papa Urbano e dell’Eremita mostra anche un’altra componente costitutiva del fenomeno crociato: ovvero la concorrenza – nei diversi sensi possibili – di iniziative promosse “dall’alto” e/o “dal basso”. Un pontefice è, infatti, il vertice di una istituzione e di un mondo, mentre un eremita è esponente del mondo degli umili e dei marginali. E difatti alle crociate presero parte non solo i nobili e i forti, ma anche il popolo e ogni ceto sociale, nonché entrambi i sessi e tutte le età, dai bambini agli anziani.
Sono elementi fondamentali da tenere ben presente per comprendere la cosiddetta “crociata dei fanciulli”, ovvero quei “movimenti” popolari che si svolsero in un breve lasso di tempo – pochi mesi in tutto – verso la metà del 1212.
Pietro l'Eremita alla testa della Prima Crociata - miniatura dall' "Abreviamen de las Estorias", 1311 - Londra, British Library
I «fanciulli» di Stefano di Cloyes
Fu verso il giugno di quell’anno, infatti, che un primo movimento prese avvio nel centro della Francia, a opera di un giovane pastore di nome Stefano. Originario del villaggio di Cloyes, poco a nord di Vendôme e poco più a sud di Chartres, Stefano visse – almeno secondo la sua stessa testimonianza – un’esperienza particolare: l’incontro con Cristo apparsogli sotto le fogge di un povero pellegrino, che gli avrebbe dato del pane (chiaro rinvio eucaristico) e una lettera per il re di Francia. Forte della missione ricevuta, Stefano puntò sulla corte regia, raccogliendo attorno a sé una folla eterogenea e vasta, anche se la cifra di circa 30.000 persone, riportata da alcune fonti, è certamente esagerata.
Stefano e i suoi raggiunsero Saint-Denis, la grande abbazia del santo patrono dei franchi, pochi chilometri a nord di Parigi, dove si raccolsero in preghiera, in un clima fervente e miracolistico capace di attrarre altre folle per assistere a… cosa, precisamente? Sappiamo che i «fanciulli» (pueri, nelle fonti) che avevano seguito Stefano si erano dati delle bandiere e che innalzavano invocazioni di questo tenore: «Signore Dio, esalta la Cristianità! Signore Dio, rendici la Vera Croce!». È a partire da queste parole che possiamo collegare il movimento di questi pastori e «fanciulli» con la crociata, dal momento che la reliquia della Vera Croce era finita in mani musulmane nel 1187, l’annus horribilis della caduta di Gerusalemme.
Sappiamo inoltre che il pastore fanciullo poté far avere la lettera al sovrano – ma l’ipotesi di un incontro tra i due non è provabile – e che Filippo II la sottopose ai professori di teologia dell’università parigina. Il responso dei saggi fu negativo: il testo non aveva un’origine divina. Ma che cosa conteneva? Non ci è dato saperlo. Forse l’invito pressante ad organizzare una nuova crociata per liberare Gerusalemme e, appunto, riconquistare la Vera Croce, tenendo conto del fatto che re Filippo aveva già partecipato alla terza crociata (1188-1192) da cui era tornato ingloriosamente. Ad ogni modo, Filippo comunicò loro di sciogliersi e tornare a casa, e tale presa di posizione decretò la fine sostanziale dell’avventura, almeno per una parte dei seguaci di Stefano. Pare infatti che alcuni di essi, evidentemente insoddisfatti, decidessero di provare a raggiungere per proprio conto la Terrasanta: giunti a Marsiglia, vennero imbarcati su sette navi a opera di due mercanti armatori – i cui nomi però, Guglielmo il Porco e Ugo Ferreo, destano più di un sospetto, soprattutto in connessione con l’offerta gratuita di passaggio – per finire malamente. Due navi fecero naufragio al largo della Sardegna – nessun sopravvissuto – e le altre raggiunsero l’Egitto dove i fanciulli superstiti vennero venduti come schiavi.
Pietro l'Eremita consegna la croce - miniatura, XIII sec.
I «fanciulli» di Nicola di Colonia
Questa “crociata” terminata così ingloriosamente e forse tragicamente si svolse in sostanziale parallelismo con un altro movimento, sviluppatosi nel regno tedesco e precisamente a Colonia. Anche qui, infatti, un altro puer, di nome Nicola, si mise a capo di un folto numero di «fanciulli», maschi e femmine, originari della Lorena, della Renania e dei Paesi Bassi, guidandoli verso sud sotto bandiere comuni – iconograficamente a noi sconosciute – e al ritmo di canti in latino e in tedesco, lungo il Rodano, in una processione che li vide giungere il 25 agosto a Genova. Un’altra fonte parla di Brindisi, che sembra meno probabile, mentre altri porti, tra cui Pisa, vennero forse raggiunti. Pare infine che un paio di navi salpassero verso l’Oriente, ma le loro tracce si perdono qui, anche perché la maggior parte tornò indietro oppure si fermò in Italia.
Nicola indossava «un segno come di croce, che aveva la forma del tau, che avrebbe dovuto essere su di lui segno di santità e capacità miracolosa; e non sarebbe stato facile distinguere di che metallo fosse fatta»: così una delle testimonianze. Era un segno esteriore che, oltre a rinviare a una dimensione spirituale, connetteva le sue schiere alla crociata; inoltre, e soprattutto, cantavano «di dover passare il mare, e che avrebbero posseduto la Terrasanta, così come i figli di Israele, uscendo dall’Egitto, avevano ottenuto la terra». Il legame ideale e immaginifico con l’Antico Testamento si rinforzava sotto la speranza-illusione di un nuovo miracolo: secondo altre fonti, infatti, Nicola sosteneva di aver ricevuto l’incarico di recarsi a Gerusalemme da parte di un angelo – e l’intervento celeste, sia pure in tono minore, rinforza l’affinità con la vicenda di Stefano di Cloyes – con la promessa di poter attraversare il mare a piedi (siccis pedibus, «senza bagnarsi i piedi»): come un nuovo Mosè, Nicola sognava di guidare un nuovo popolo eletto nella Terra Promessa.
Un popolo, il suo, composto da «fanciulli», appunto, e persino «lattanti», giovani e giovinette, insieme a uomini e donne, tutti di origine umile («soltanto dal popolo», specifica una fonte). Probabilmente alcune migliaia di persone che subitamente abbandonarono le loro vite per “imbarcarsi” in un’avventura contagiosa e che, per quanto destrutturata, trovava l’appoggio delle popolazioni lungo la via, sotto forma di sostegno morale e aiuti materiali. Che il movimento fosse capace di attrazione lo dimostra anche il comparire di figure losche a corredo, intente a rapinare questi incauti “pellegrini” sia dei propri averi sia dei doni ricevuti. «Uno di costoro, catturato a Colonia, finì la vita impiccato».
Eloquenti le parole di uno dei loro canti: «Nicola, servo di Cristo, oltremare andrà, e con gli altri innocenti a Gerusalemme entrerà. Sicuro passerà il mare a piedi asciutti. Unirà castamente giovani e vergini. A onore di Dio compirà così grandi gesta che pace, giubilo e lode a Dio risuoneranno. Battezzerà tutti i pagani e la gente senza fede. Tutti a Gerusalemme intoneranno questo canto: la pace è ora con i cristiani, Cristo sta per venire, glorificherà coloro che sono stati redenti dal sangue e incoronerà tutti i fanciulli di Nicola». Si tratta di concetti puerili e insieme pregnanti. L’idea che Nicola sia il «servo di Cristo», capace di far aprire il mare, sembra una predizione poco intelligente e auto-distruttiva, buona solo per innalzare temporaneamente il gradimento di un «fanciullo» esaltato, anche se una fonte lo descrive agli ordini del padre, cinico e interessato economicamente alla faccenda. Tuttavia altre idee hanno una densità maggiore: pensiamo in particolare ai concetti di verginità e innocenza, che si fondono con la dimensione sociale e ideale dei protagonisti (i pueri, appunto). L’idea, cioè, di lunga tradizione, che gli umili e gli «innocenti» possano riuscire là dove hanno fallito i potenti (i «peccatori»). Non solo: ciò sarebbe avvenuto senz’armi, in una prospettiva escatologica («Cristo sta per venire») che non era estranea alla crociata e che però spiega anche un aspetto che invece crociato non è, ovvero la speranza di convertire «tutti i pagani e la gente senza fede», uno scopo che era del tutto estraneo alla dimensione della crociata, se non, appunto, in termini di scenario escatologico.
Arrivo di Pietro l'Eremita a Roma - miniatura, XIII secolo - Parigi, BnF.
Due movimenti, un unico fenomeno
Non è possibile dire se i movimenti di Stefano e Nicola abbiano avuto qualche connessione, più o meno sotterranea. Tuttavia, al di là dell’oggettiva contemporaneità, essi testimoniano la presenza non irrilevante di un “fermento crociato” diffuso nell’Europa del tempo e pronto ad emergere con forza. A che cosa si doveva un fenomeno del genere?
All’inizio del XIII secolo l’Europa aveva già visto almeno quattro crociate principali, tutte finite più o meno miseramente, a eccezione della prima. I “grandi” della terra – pontefici, vescovi, principi, re, imperatori – avevano fallito nella missione di conservare Gerusalemme al centro geopolitico della Cristianità, dal momento che essa vi permaneva senz’altro dal punto di vista mentale e spirituale. Ecco dunque che gli «innocenti», gli «umili» anche socialmente parlando – che del resto è un’altra delle possibili traduzioni della parola pueri, e che può rinviare anche ai «miti» del Discorso della Montagna di Matteo, 5,5 – avrebbero permesso il recupero della Città e della Terra di Dio, sia in chiave sostitutiva (è il caso di Nicola), sia in termini di rilancio e partecipazione (come suggerisce il caso di Stefano).
Non mi pare affatto casuale che, in un’epoca di grande “intensità crociata”, proprio mentre la crociata si “istituzionalizzava” e “professionalizzava” sempre di più – nel primo ventennio del Duecento si hanno la quarta e la quinta crociata, la crociata contro gli albigesi e quella in Spagna con la grande vittoria di Las Navas proprio nel 1212, per la quale grandi processioni erano state organizzate in tutta Europa – alcuni elementi costitutivi del fenomeno – gli umili, i laici, in un notevole movimento dal basso – abbiano reclamato il loro ruolo. Abbiano insomma fatto sentire la loro voce, sia pur sulle note di canti che si sarebbero mutati in lamento.
Per saperne di più
Franco Cardini – Domenico Del Nero, La crociata dei fanciulli, Giunti, 1999.
Jean Richard, La grande storia delle crociate, Newton & Compton, 1999.
da “Il Timone”, n. 103, anno XIII, maggio 2011, pp. 22-24