Scritto da Daniele Galimberti
Ancora troppo pochi italiani se ne rendono conto, ma il nostro paese custodisce un tesoro che nessun altra nazione al mondo può vantare: un patrimonio storico, artistico, letterario, in una parola “culturale”, esclusivamente “nostro”. Ecco perché ogni anno milioni e milioni di turisti affollano le nostre città, e infinite schiere di lettori sfogliano le pagine delle grandi opere letterarie del nostro passato, per necessità o per diletto. Nonostante questa fortuna capitata in mano a noi italiani di oggi, in materia di occupazione culturale e creativa siamo agli ultimi posti della classifica europea, quando invece dovremmo quantomeno far parte del podio. Il nostro immenso patrimonio infatti (L’Unesco praticamente “risiede” a casa nostra) è mal gestito e poco valorizzato. Gran parte dei monumenti cade a pezzi, i vandali danneggiano le opere in ogni modo, il rispetto verso l’arte e la storia d’Italia vacilla. Un esempio su tutti: Pompei traballa sotto i colpi dell’incuranza e del degrado, mentre al di là delle Alpi luoghi molto meno attrattivi e interessanti vengono promossi e valorizzati come se fossero paradisi terrestri. Se in Europa la cultura dà lavoro a circa 3 milioni e mezzo di persone, da noi, paradosso incredibile, fornisce solo l’1,1 % del Pil. L’attenzione attuale infatti non è posta sulle necessità di tutela, valorizzazione e fruizione, ma solo su una parola magica che affascina parecchio l’Italia degli economisti: rendita. Lapidario in merito il giudizio di Philippe Daverio, autorevole critico e storico dell’arte: <<credo che la cultura serva alla formazione, all’identità, alla forza psicologica…a fare altra cultura. Adesso stiamo usando il passato per vendere due panini in più>>. A furia di considerare i beni culturali come merce sul bancone per la mera ricerca di guadagno, negli ultimi 15 anni i turisti che scelgono di visitare il bel paese stanno via via diminuendo. E il lavoro nel settore è di conseguenza in forte crisi. Ecco quindi che il giovane laureato in beni culturali e affini è portato a considerare il suo titolo come carta straccia, mentre il malcapitato viaggiatore d’oltreconfine si affida sempre più a una vacanza “mordi e fuggi” che non consente di godere appieno delle nostre ricchezze e viene praticamente “abbandonato” durante il suo tour: i venditori ambulanti hanno ormai sostituito le guide e il personale preparato in prossimità di monumenti e siti turistici, e la truffa e il raggiro sono dietro l’angolo. Senza dimenticare che il sabato e la domenica, solitamente giorni appositi per lo svago e il turismo, i punti di informazione chiudono e lasciano il nostro povero straniero in uno stato di confusione e ignoranza. Se poi si tratta di prenotare una visita su internet (il 65% degli europei lo fa), il nostro sfortunato amico si renderà presto conto dell’impossibilità, tutta made in Italy, di scavalcare le code tramite booking, organizzare programmi adeguati o assemblare pacchetti, dovuta al torto che potrebbe conseguirne per le agenzie di viaggio e gli alberghi. Quali soluzioni dunque di fronte a questa inesorabile debacle? Negli ultimi mesi ci si è rivolti (come al solito in questo periodo) ai giovani, oltre che a sistemi di micro - finanziamento, a istituzioni culturali a braccetto con associazioni territoriali, a piccole imprese locali. Si punta alla deburocratizzazione di un sistema di procedure troppo ampio e intricato per aprire un’impresa. Ma i giovani imprenditori sono davvero interessati? E’ purtroppo diffusa una radicata indifferenza verso questo ambito, ci si sente impossibilitati a migliorare lo status quo, e le Regioni, detentrici, insieme ai Comuni, della responsabilità verso i beni culturali, di certo non aiutano. La promozione di iniziative volte alla conoscenza della nostra eredità comune è ancora a un livello inadeguato, i restauri vengono spesso snobbati e il loro onere ricade sempre sui privati proprietari. La gente comune continua infatti a non conoscere le grandi ricchezze del nostro paese, che sono in mano per lo più a individui inesperti e interessati solamente al profitto economico (riguardo allo stesso ministro “tecnico” Ornaghi non si può dire che sia un grande esperto in materia). Soltanto negli ultimi tempi, dominati dalla crisi, si constata un aumento delle presenze nei musei, spesso collegato ad aperture gratuite o a riduzioni, ma che fa capire comunque come l’evasione artistica e la ricerca del bello siano un rimedio contro le incertezze dell’economia. E’ evidente la necessità di trasmettere agli italiani (perché il problema siamo noi) la consapevolezza di quanto possediamo, che se opportunamente valorizzato, non risolverebbe in pieno ma comunque allevierebbe le profonde ferite inferte dalla crisi. Bisogna quindi investire di più sulla cultura, lavorare fin da subito sulla coscienza degli studenti, esortando le scuole ad apprezzare maggiormente quanto l’Italia ha da offrire, promuovendo iniziative culturali (feste del libro, letture pubbliche) intensificando le visite e le gite ma soprattutto stimolando la curiosità dei futuri custodi del nostro tesoro. Tutto ciò si realizza con un innovativo approccio al mondo della cultura, mai necessario come ora. Cogliere dunque gli aspetti più accattivanti, i collegamenti col mondo attuale, promuovere laboratori, avvicinare gli spettatori agli artisti con esperimenti pratici e attività coinvolgenti, favorire il dibattito e la divulgazione della conoscenza. Questi sono i mezzi per far tornare l’Italia ad essere madre della cultura europea: solo investendo con convinzione sull’inestimabile dono lasciatoci dai nostri avi, il turismo tornerà punto di forza dello Stato e della sua economia, e quello italiano diverrà un popolo consapevole della sua intrinseca e esclusiva qualità, ovvero la conoscenza. Ne deriveranno cittadini migliori e in grado di giudicare meglio gli eventi della vita. Della serie: “sapere è potere”.