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La cultura si mangia

Creato il 12 febbraio 2016 da Propostalavoro @propostalavoro

650px-WLA_amart_Among_the_Sierra_NevadaUn patrimonio sterminato, un tesoro inestimabile che, però, non si riesce a mettere a frutto. Eppure nel settore dell'arte e della cultura, non siamo secondi a nessuno: quanti musei, al mondo, possono vantare i capolavori custoditi negli Uffizi? Quante città possono mettere in mostra il Colosseo o gli scavi di Pompei? Quale nazione può gloriarsi di aver dato i natali a Michelangelo e Leonardo?

La mancanza totale di una seria politica culturale è disarmante e deleteria per una buona gestione del nostro patrimonio archeologico e artistico. Con ripercussioni anche a livello economico, perchè, non bisogna dimenticare il peso del settore turistico, che, nel 2014, ha generato circa 45 miliardi euro di guadagni.

Una balla fetta di economia nostrana, in cui fa fatica a dare il suo contributo il sistema museale pubblico, che, a quanto pare, riesce a generare circa 170 milioni di euro l'anno. Poca roba, rispetto ad altri. Come il Louvre, che, nel 2014, è stato il museo più visitato al mondo, anche se, la palma di città più culturale, va a Londra, che piazza ben tre musei nella top 10.

Nessuna struttura italiana nelle prime posizioni, a parte i Musei Vaticani che, però, non sono propriamente italiani. Motivo? Ovvio: pochi soldi, scarsa attenzione al "cliente" e nessuna iniziativa di marketing, per attirare nuovi visitatori. Sarebbe, ad esempio, possibile ripetere in Italia, ciò che aveva fatto, qualche anno fa, il British Museum, arrivando ad incassare fior di quattrini? Non credo proprio.

Primo, perchè qualche anima candida urlerebbe al mercimonio della cultura (poi, però, ci spieghino come trovare i soldi per curare le collezioni, restaurare quadri, statue ed edifici, pagare gli stipendi del personale, ecc.); secondo, perchè, come dicevamo, mancano i servizi correlati, ovvero tutto quel mondo di marketing, merchandising ed accoglienza, che ruota intorno al mondo dei musei e dei siti archeologici.

Per dirla in cifre, in Italia, ne usufruiscono appena il 7% dei visitatori. Cifra piuttosto misera, se si pensa che alla National Gallery di Londra, la percentuale sale al 33%, mentre il British Museum arriva al 31% ed il Louvre al 16%. Ecco dove i musei stranieri guadagnano: nei servizi aggiuntivi, che garantiscono introiti e soprattutto, posti di lavoro.

Libri, audioguide, gadget, cartoline, magliette, tazzine da caffè, poster, ma anche bar e ristoranti: tutto serve, per pemettere al museo di tenersi in piedi e, magari, anche di guadagnare qualcosa. Tutto molto kitsch, per alcuni, ma anche remunerativo e, in tempi di crisi e di tagli ai bilanci nazionali, sempre più indispensabile.

Quindi, anzichè tagliare, sarebbe più utile, culturalmente ed economicamente, potenziare il Ministero dei Beni Culturali, sviluppando una politica nazionale, una sorta di Piano Industriale della Cultura, innanzitutto, mettendo in comunicazione il settore museale ed archeologico, con il resto del terziario, in modo da creare un sistema organico: musei e località balneari, siti archeologici ed enogastronomia locale.

E, nell’epoca di internet e smartphone, non possono mancare apppositi siti web di riferimento (con annesse app), con cui comunicare direttamente con gli utenti finali (i turisti), per dare suggerimenti (se visiti questo museo, puoi vedere la mostra del tal pittore), esclusive (se acquisti un gadget, puoi avere lo sconto, per un ingresso al tal altro monumento) e informazioni, anche per evitare possibili grane.

Perchè, poi, non creare anche dei marchi, dei veri e propri brand, per produrre gadget ed attirare sponsor? Insomma, perchè non permettere che cultura ed economia vadano a braccetto?

Che sia una bella idea o un pessimo progetto, però, è qualcosa che non vedremo nell'immediato futuro, anche perchè la politica ha in mente altro. Lo scorso autunno, infatti, il ministro Franceschini ha firmato un decreto che prevede la possibilità di affidare musei e monumenti, attualmente chiusi o sottoutilizzati, ad associazioni non profit

Insomma, mano libera ai privati: comodo, veloce e – forse – senza spese per lo Stato, che però, mette in mani altrui, un mercato che, potenzialmente, vale 2 miliardi di euro.  Non è la prima volta che le Istituzioni seguono strade simili, ma visti i risultati non sempre incoraggianti, forse sarebbe il caso di provare altro.

E varrebbe la pena rischiare, perchè la cultura ci sfamerebbe, eccome.

Danilo


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