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La frase posta all’inizio del post odierno ci riporta invece, letteralmente, con i piedi per terra. Sono parole pronunciate dal già citato “Cittadino di Carcosa” poco prima della fine del racconto.Avete già sentito parlare di Aldebaran, vero? Aldebaran (Alfa tauri) è la stella più luminosa della costellazione del Toro, nonché la quattordicesima stella più luminosa del cielo notturno. Se vivete lontano dalle luci delle grandi città ed avete la fortuna di poter ammirare il cielo stellato, probabilmente sarete in grado di identificarla e, con un po’ di immaginazione, potrete individuare l’intera costellazione del Toro, di cui rappresenta uno degli occhi. Distante circa 65 anni luce dalla Terra, Aldebaran è una gigante arancione circa 500 volte più luminosa e una quarantina di volte più grande del nostro Sole. Aldebaran, per un effetto ottico, sembra associata all’ammasso delle Iadi (anche se in realtà si trova molto più vicina a noi), ma l’associazione è data solo dalla prospettiva dalla quale noi la osserviamo. È proprio questo quindi il punto: da dove, se non dalla nostra Terra, possono essere visibili contemporaneamente sia Aldebaran che le Iadi? Carcosa si trova quindi sulla Terra, ma dove? Su questo le stelle non possono venirci in aiuto, visto che il Toro, pur essendo una costellazione situata nell'emisfero celeste boreale, è ben osservabile, grazie alla sua particolare declinazione, da tutte le aree abitate del pianeta.
Ritorneremo però un’altra volta sulla questione “Carcosa”. Non abbiamo nessuna fretta, no? Passiamo invece all’argomento di oggi e facciamo la conoscenza di Robert W. Chambers, scrittore e pittore statunitense che ebbe il grande merito di mettere assieme i piccoli frammenti sparsi qua e là da Bierce, e di realizzare quella che oggi è comunemente accreditata come la vera sorgente della mitologia “in giallo”. Chambers pubblicò nel 1895 una singolare raccolta di racconti che volle intitolare “The King in Yellow”, al cui interno si affacciava uno pseudobliblium omonimo dai singolari poteri. Ne abbiamo accennato brevemente nel post introduttivo e ne parleremmo ampiamente nei prossimi articoli. Oggi ci soffermiamo su un racconto specifico contenuto nella suddetta raccolta, un racconto che sembra quasi essere la continuazione o, meglio, l’evoluzione del “Cittadino di Carcosa” scritto otto anni prima da Ambrose Bierce.
“The Demoiselle d’Ys”, questo il titolo, narra le vicende di un uomo che si ritrova a vagare, smarrito, in un luogo a lui sconosciuto, senza sapere come e quando abbia potuto perdere l’orientamento e ritrovarsi lì, nel bel mezzo della brughiera, senza alcuna possibilità di ritornare sui suoi passi. Quando la rassegnazione di dover trascorrere la notte all’aperto era ormai quasi sul punto di prevalere, ecco l’inaspettato incontro con una giovinetta. "Guardatevi intorno", disse ella gentilmente. "Riuscite a vedere la fine di queste lande? Guardate! Nord, sud, est, ovest. Riuscite a vedere qualcosa, a parte la vegetazione? La landa è selvaggia. È molto facile entrarvi ma di solito è impossibile uscirvi”. “Se mi direte in che direzione si trova Kerselec, non mi ci vorrà più tempo a tornare di quanto ce ne ho messo ad arrivare”, dissi. Mi guardò di nuovo con un'espressione quasi di pietà. "Per arrivare qui bastano poche ore, ma per andar via potrebbero volerci dei secoli”. La fissai con stupore, poi decisi che senz’altro l'avevo fraintesa.Non l’aveva fraintesa. Il luogo in cui si era perduto aveva un che di magico e innaturale. C’era qualcosa di inspiegabile anche nel modo in cui la giovinetta e il suo meraviglioso falco, con il quale si accompagnava, erano apparsi ai suoi occhi.Il suo nome era Jeanne, e quella notte lo avrebbe portato con sé nel suo castello, dove ella viveva con la sua tata, Pelagie, i suoi quattro falconieri (Hastur, Raoul, Gaston e Sieur Piriou Louis) e il suo battitore, Glenmarec Rene. Lei gli raccontò di sé e della sua vita, gli raccontò della morte dei suoi genitori e di come mai una volta, nei diciannove anni della sua vita, avesse messo piede altrove. I due inevitabilmente si innamorarono. A noi lettori è però già chiaro da molto tempo che né il castello né tantomeno i suoi abitanti appartengono al mondo reale. Qualcosa ad un certo punto sembrò balenare anche nella testa di Philip, il quale decise però di non badare troppo a quella strana sensazione. Stavo forse sognando? Lo strano linguaggio che questa gente utilizzava era molto simile ad un vecchio e dimenticato francese medioevale, lo stesso che si usava nei leggendari “Yellow Manuscripts”. (!)
Il finale del racconto è per certi versi molto simile a quello di “Un cittadino di Carcosa”: Philip, risvegliatosi dal torpore che il morso di un serpente gli aveva provocato, si ritroverà accanto alle rovine di un edificio che un tempo fu lo “Chateau d’Ys”. Nei paraggi rinverrà poi una lapide dedicata a Jeanne, “morta nel fiore degli anni per amore di Philip, uno straniero, 1573 dC".Ma le similitudini tra il racconto di Chambers e quello di Bierce non si riducono solo a questo finale. È il nome di uno dei falconieri della “damigella d’Ys”, come vedremo meglio nei prossimi articoli, a fare da ulteriore trait d’union.E quindi, ritornando al quesito originale, si fa largo una nuova ipotesi. Cos’hanno in comune Carcosa e Ys? Sono forse due nomi per descrivere lo stesso luogo? Che altro sappiamo di Ys? In questo caso potrebbe venirci incontro la leggenda bretone dell’isola di Ys, un'isola mitica edificata nella baia di Douarnenez in Bretagna da Gradlon, re di Cornovaglia, sotto il livello del mare e che, proprio per questo motivo, aveva un sistema di dighe costruite attorno per proteggerla dalle acque dell'oceano.Il re aveva una splendida figlia, di nome Dahud, e come gesto d'amore nei suoi confronti le diede le chiavi che permettevano di aprire le dighe della città. La leggenda vuole che un giovane straniero giunto sull'isola, innamorato di Dahud, venne in possesso delle chiavi delle dighe, ma siccome in lui si nascondeva il Demonio, egli aprì le dighe della città permettendo all'Oceano di sommergere l'isola, e quindi, di distruggerla; re Gradlon riuscì a salvarsi raggiungendo la costa, ma durante il tragitto Dio gli disse di gettare in mare la figlia Dahud, che stava portando con sé, perché posseduta dal Demonio. Così fece. La leggenda narra che Dahud, per adattarsi alle acque dell'oceano, si trasformò in una sirena che con il suo dolce e ossessivo canto riesce ad incantare i marinai.Si potrebbe quindi supporre che gli Yellow Mythos affondino le proprie radici nelle leggende Arturiane? Dopotutto anche il cosiddetto “Ciclo Bretone” ha origine da riferimenti, citazioni e riassunti basati su opere andate perdute. Forse bisognerebbe chiederlo a Marion Zimmer Bradley, la celeberrima autrice de “Le nebbie di Avalon”, che ha celato ovunque nelle sue opere diversi rimandi agli Yellow Mythos.
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