Immagine tratta da: Atalanta Fugiens di Michael Maier
Come abbiamo avuto occasione di vedere in alcuni post precedenti, la Grande Dea è un simbolo ambivalente, infatti essa è donatrice di vita e di morte, protegge i vivi ed accoglie nel suo ventre materno i defunti. Essa è anche dispensatrice di grandi doni e terribile vendicatrice nei confronti di chi osa avvicinarsi a lei senza essere iniziato ai suoi segreti. Esistono inoltre numerosi esempi di divinità femminili che pur essendo preposte alla tutela della maternità e della fecondità, sono allo stesso tempo protettrici della guerra. Asharte la Dea semitica più venerata è la divinità dell’amore e della fecondità e nello stesso tempo la protettrice degli uomini d’arme.
Anche la Ishtar venerata a Babilonia è stata fin dagli inizi del suo culto, Dea della fecondità e della guerra, così come ‘Anat, un’altra divinità semitica onorata in Palestina ai tempi di Tutmosi III (1501-1447 a.C.) e la iranica Anaitis.
Sembra in realtà una contraddizione che la Grande Dea, principio del femminile, creatrice e protettrice, madre misericordiosa fonte ed origine del creato sia nel contempo una divinità della guerra. Nella guerra le virtù femminili non trovano spazio, la guerra è all’antitesi delle caratteristiche della Dea che essa invece prende sotto la sua tutela. Come abbiamo visto prima la Magna Mater è la madre premurosa dei vivi e dei morti, la guerra è il più efficace strumento di morte, quindi la grandi Dee asiatiche non sono divinità militari, non appartengono ai soldati ma alla guerra in quanto dispensatrice di morte. Esse sono invocate dalle donne in tempo di pace e dagli uomini in tempo di guerra, perché la Dea è principio e fine di tutto, la fonte della vita coincide con la vittoria della morte.
Questa apparente contraddizione che fa coesistere in uno stessa divinità vita e morte, gioia e dolore, piacere e sofferenza, trova la sua spiegazione nel principio dell’unione degli opposti, la cui massima espressione è l’Androgino, l’essere perfetto che unisce in se le caratteristiche del maschile e del femminile.
L’Androgino è uno dei simboli principali dell’Alchimia e di tutta la filosofia ermetica antica e medioevale. L’Androgino cosmico dell’Alchimia europea è il Rebis (letter. due cose), rappresentato come una creatura umana bisessuale, nata dal principio femminile (la luna) e da quello maschile (il sole).
Anche Zurvan il Dio iranico del Tempo Illimitato che i greci chiamavano Cronos era una divinità androgina, dalla quale nacquero due gemelli, , Ohrmazd e Ahriman, il principio del bene e del male e della luce e delle tenebre. Il fatto che due gemelli siano figli dello stesso Dio dimostra che i principi opposti hanno un’origine comune, Zurvan rappresenta la loro unione, il compimento della Grande Opera alchemica.
Anche nelle religioni degli egizi, dei babilonesi e degli indiani esistono numerosi esempi in cui la divinità è chiamata Padre e Madre, artefice da sola dell’intero creato. Lo stesso Atum-Ra, il Dio principale degli egizi rappresenta la coppia primordiale da cui scaturisce l’impulso creatore, infatti come dice Mircea Eliade: L'androginia divina ha come conseguenza logica la "monogenesi" o l’autogenesi”.
L’unione degli opposti rappresenta le “nozze mistiche” tra il principio maschile e il principio femminile.
Queste nozze mistiche, tuttavia, non si devono interpretare soltanto come una esperienza precisa della presenza divina nell'anima dell'uomo, ma hanno anche un altro senso, segreto: l'uomo non si può avvicinare alla divinità se non diventando perfetto e, prima di poter conoscere Dio, la sua anima deve realizzare compiutamente se stessa, ridiventando archetipo, ridiventando Adamo-Eva dell'inizio degli inizi, l'uomo del tempo anteriore al peccato.
. (Mircea Eliade, Il mito della reintegrazione.)
Fabrizio e Giovanna
Riferimenti bibliografici:
Mircea Eliade, Il mito della reintegrazione,
Zolla E. Zolla: L’Androgino- L'umana nostalgia dell'interezza