Ciao a tutti.
Questo articolo vorrei dedicarlo a quell’appuntamento che tra poco ci chiamerà tutti a votare, ossia alla nostra ordinaria scadenza che c’invita alle urne.
Che dire? Le votazioni appena conclusesi in Francia hanno denunciato un preoccupante astensionismo ( uno su due degli aventi diritto al voto non è andato a votare); in Iraq, dove si sono svolte per la prima volta delle libere elezioni (per quanto si possano definire libere visto che, ma era prevedibile, sono stati riscontrati innumerevoli imbrogli, da parte dell’interessato di turno, sia in fase di espletamento del voto che in fase di scrutinio elettorale) la gente è andata comunque a votare anche sotto la minaccia delle bombe.
Ecco cosa riportava martedì 9 marzo L’unione sarda in proposito al tentativo di Bin Laden di scoraggiare il voto: “Le sue minacce per far fallire le elezioni non hanno funzionato. L’affluenza alle urne, è stata del 62,4 per cento, ha reso noto in serata la commissione elettorale. E ci sono state anche punte di oltre il 70 per cento in alcune zone delle province sunnite di Diyala, Salaheddin, al-Anbar e Ninive. Uno smacco per il ramo iracheno dell’organizzazione di Osama bin Laden, che aveva ammonito a non andare a votare, pena la morte, “in particolare nelle zone sunnite”.
Anche se è presto potere asserire che in Iraq le cose stanno seriamente cambiando, di certo si può quantomeno sostenere che il primo passo è stato fatto.
Cosa significa tutto questo? Che mentre nei paesi dove la democrazia è una normalità il cittadino ha perso in modo significativo il proprio interesse ad esprimere la propria idea politica, nei paesi dove la democrazia deve fare ancora tutto il suo percorso la gente non può ovviamente essersi stufata a fare qualcosa che non ha mai fatto o che deve ancora imparare a fare.
Per la cronaca, questo non ci può consolare. E infatti non ci consola.
Non vorrei ripetere la solita paternale che ci direbbe che è importante andare a votare, che l’esercizio del voto è un diritto-dovere, che non andando al voto ci sottraiamo alle nostre personali responsabilità, che poi non si può avere nessun diritto di lamentarsi, che l’incuria politica dei nostri politici non è una scusante al nostro disinteresse e alla nostra demotivazione, che se non si va al voto non sì è nemmeno di buon esempio ai giovani che già di per sé ne avrebbero di motivi per essere totalmente assenti a questo loro impegno…
Cerchiamo allora di comprendere dove starebbe il vero male, dove risiederebbe la fonte del vero disagio politico che attraversa più o meno tutte le maggiori democrazie in Europa e non solo.
Credo che il lettore già abbia una sua idea più o meno chiara sulle ragioni che portano i cittadini a rinunciare al voto; vediamo se corrispondono con le mie:
- innanzitutto l’alto grado di corruzione del governo a tutti i suoi livelli, locali e centrali
- seguirebbe il basso grado della politica che ha raggiunto aspetti talmente sconfortanti da rasentare l’indecenza
- al terzo posto metterei l’anomalia tutta italiana d’avere un Primo Ministro che è anche proprietario di una vasta rete di stampa e d’informazione, oltre che chiamato a rispondere di un evidente conflitto d’interesse
- al quarto metterei l’incapacità, anche questa tutta italiana, della forza politica stante all’opposizione d’elaborare una strategia di contrasto e di confronto che sappia essere unitaria e produttiva
- al quinto l’interferenza e la collusione, anche questa tutta italiana se si parla di mafia, della malavita organizzata con le politiche territoriali
- può seguire un livello di istruzione generale del Paese che risulterebbe essere ad oggi tra i più bassi in Europa
- al settimo posto ci può stare la complessità storica generale dell’ultimo ventennio, portatrice di grandi cambiamenti, di sconvolgimenti e mescolanze planetarie dove i vecchi equilibri sono stati rimessi in gioco da nuovi fattori e nuove esigenze, il tutto però nell’immobilismo tutto italiano delle vecchie problematiche.
- non si può trascurare di pari passo la stessa obiettiva complessità della gestione della cosa pubblica che richiederebbe non banalmente corsi di formazione e di scambio formativo per lo più assenti o inutili, ma più severamente capacità da parte delle amministrazioni locali di rinnovamento continuo e di puntuale e severa autoanalisi (il rigore eticomancante ogni dove)
- non ometterei la complicazione, sempre tutta italiana, d’avere un passato storico che attraversa l’ultimo sessantennio profondamente travagliato e attraversato da conflitti di ogni sorta ( oltre la rivoluzione giovanile, vedere il terrorismo politico locale, le logge massoniche, gli scandali finanziari ad esse collegati, la debolezza di governo, la disparità mai risolta del paese, gravemente diversificato tra nord e sud…ma ancora più concretamente, lo slacciamento tra vita politica e vita reale, la cultura dell’omertà che purtroppo attraversa trasversalmente non solo le istituzioni ma il sentire comune, la cultura della violenza e del disimpegno che sembra iniziare e dare i suoi primi segni preoccupanti già in età adolescenziale), tutte questioni che per quanto in parte remote, di fatto hanno contribuito e contribuiscono a formare nel tempo una certa insensibilità ed incapacità di affezione e di interesse pubblico partecipato continuo e sensato verso il tema che stiamo trattando
- chiuderei l’analisi delle possibili motivazioni all’assenteismo di massa con quello che in genere gli stessi addetti ai lavori dicono per se stessi, ossia quando dichiarano in anteprima che non andranno a votare per la ragione stessa di non sentirsi rappresentati ( e che lo dicano loro non è incoraggiante né corretto)
Inutile ribattere ad ognuno di questi punti che nessuna presumibile argomentazione (né tra quelle espresse, né tra quelle non espresse) giustificherebbe l’assenteismo. Nemmeno l’unica condizione concepibile al non voto, ossia la presenza in atto di uno stato di dittatura feroce o mascherata che non permettesse di per sé l’affluenza regolare alle urne, giustificherebbe tale assenza, visto che lo stesso Iraq ci ha appena insegnato che dove questo accade, la popolazione accorre al seggio più che mai desiderosa di esserci, di fare la sua parte, di rendersi protagonista.
Ognuno faccia il prossimo 28 e 29 marzo quel che crederà ovviamente opportuno, vista l’assoluta libertà di scelta e di espressione ancora esistente in Italia, nonostante quel che se ne dica, ma personalmente credo che votare sia sempre meglio che non farlo, in quanto è un segno di per sé di civiltà, di responsabilità e di democrazia attiva.
Non sia mai che si debba tornare a condizioni in cui rimpiangeremmo tutta questa nostra indubbia quanto sprecata libertà; comprendo che anche votando spesso non cambia nulla o cambia troppo poco o si rischia di cambiare in peggio, ma ritengo che il troppo poco è meglio del niente, il nulla è meglio del peggio ed il peggio potrebbe risultare utile a far maturare scelte significative.
Comprendo anche i sostenitori che denunciano al contrario il bavaglio alla libera espressione; quelli che sostengono che non c’è affatto libertà e che staremmo di fatto in una dittatura; a maggiore ragione visto che questa sarebbe una dittatura che per ora non ci viene a prendere in casa per sbatterci al confino o nelle patrie galere, ma che avrebbe solo la pretesa di impedirci di parlare quanto vorremmo e di impedirci di lavorare come vorremmo, è estremamente importante che abbia ad essere fermata e modificata, prima che possa degenerare in forme assai più gravi di intolleranza, proprio con l’accorrere numerosi alle urne.
Infatti come esprimere fermamente questo disagio se non andando a votare?
Così come il disagio che vivrebbe la destra di sentirsi minacciata da un’opposizione che getta discredito sul governo secondo necessità e che utilizzerebbe una certa magistratura di sinistra per i propri scopi personali, potrebbe venire ostacolato sempre con il rinnovo del voto e non certo con l’assenteismo (per chi la pensa ovviamente in questa maniera).
L’assenteismo a mio avviso non farebbe male alla destra che rischierebbe di perdere voti, ma farebbe male a tutti, credo ancor di più a chi a volesse il cambiamento.
Le cose non si cambiano da sole.
E’ semmai vero che non è solo andando al voto che i vari problemi esistenti potranno essere migliorati; votare qualcuno che ci dà seriamente fiducia non è che il primo passo verso un qualcosa che ha ancora tutto da essere costruito; se l’esercito degli incompetenti, degli arruolati solo per caso e per diritto di parentela o dei furboni del quartierino che si buttano in politica solo per trovare un posto sicuro a costo zero non viene in qualche modo fermato o combattuto, tale esercito avrà la possibilità di continuare indisturbato il proprio scempio…
E se le regole del gioco non vengono cambiate alla fonte, il gioco continuerà perverso a mietere i suoi danni.
La prima regola non è avere un programma elettorale serio e costruttivo per il bene comune, che si abbia fermamente intenzione di portare a termine una volta eletti?
Come dunque asserire che votare non serve?
Votare piuttosto non serve quando si ha già la ferma convinzione che i programmi presentati sono fasulli, sono sbagliati o sostenuti da rappresentanti inadeguati.
Solo in quel caso sarebbe legittimo non votare, o meglio, esprimere sempre votando o manifestando in maniera inequivocabile il proprio totale disappunto.
Non mi resta che augurare a tutti un buon auspicio di scienza e coscienza per il prossimo incontro elettorale, anche se pensare di potere risolvere anche solo qualcosa attraverso questa semplice operazione è senz’altro utopistico e illusorio. Abbiamo visto che serve ben altro.
Istruzioni per il voto
fax-simile delle schede elettorali 2010