Costituzione Italiana, Articolo 1: L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Se l’Onorevole Remigio avrà ragione del buonsenso così come delle regole della democrazia, l’Articolo 1 del diciassettesimo anno dell’era berlusconiana suonerà così: «L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro e sulla centralità del Parlamento quale titolare supremo della rappresentanza politica della volontà popolare espressa mediante procedimento elettorale».
Lo scopo esplicito, come scrive qui Simplicissimus, è quello di eliminare gli altri poteri dello Stato democratico, per rendere Berlusconi padrone assoluto, senza magistratura e Presidente della Repubblica.
Perché dell’onore del Parlamento – questi all’onore preferiscono l’odore possibilmente dei soldi – a Ceroni come al premier non importa proprio nulla, se lo hanno mortificato con anni di provvedimenti impresentabili e cialtroni, scritti appunto da improbabili faccendieri assoldati tra arruffoni mestieranti della politica, se hanno praticato la respirazione artificiale al governo a colpi di decreti legge e di ricorso alla fiducia, se le loro falangi macedoni sono state reclutate per assicurare sostegno a suon di mancette e regalie. E siamo perfino stanchi di entrare nel merito delle modalità di selezione del personale politico mediante criteri estetici e test di affiliazione cari appunto a un papi sui generis.
A Ceroni che, come gli altri appartnik, Lassini o Minzolini, scrive sotto dettatura, interessa riconfermare il primato egemonico dei voti. Ma bisogna rammentare a questo premier ossessivamente bramoso di potere assoluto che la sovranità non è la stessa cosa del governo non lo sarebbe neppure se il governo godesse del 99% dei consensi elettorali.
Ma la sovranità e la Costituzione che la rappresenta e garantisce non sono in vendita né acquistabili e non possono e non devono essere a disposizione di una parte, nemmeno di quella che ha più voti e potere di acquisto, nemmeno di un partito prepotente che ha voluto sottoscrivere con i suoi elettori un suo aberrante “contratto sociale” basato sull’esercizio dell’illegalità e sulla corruzione.
Avere i voti non può forzare la Costituzione, la maggioranza non basta per avere politicamente ragione: non c’è consenso numerico che possa giustificare la violazione delle forme, delle regole, dei limiti stabiliti dalla Carta a tutela della democrazia e dell’uguaglianza dei cittadini.
Quello che il premier vuole è nascondere dietro ai voti il personalismo, l’indifferenza per i diritti di tutti e l’attenzione ai privilegi dei pochi, il disprezzo per il rispetto delle procedure, per i controlli, per la dialettica parlamentare, per l’indipendenza della funzione giudiziaria, per tutto ciò che qualifica una democrazia.
Il pilastro su cui sta costruendo una sua aberrante forma di “democrazia autoritaria” è appunto rappresentato dal principio: il vostro richiamo alla democrazia non vale nulla perché io ho i voti. La gente mi vota e questo basta. La forza del consenso rende nulla la forza del diritto. Chi obietta in nome della Costituzione è un patetico rottame del passato se non un comunista che con espedienti giuridici cerca di fermare con la modernità la nuova legittimità istituzionale.
Fermiamo Ceroni e il suo padrone, contestiamogli questa tesi oscena. La democrazia non ammette di essere violata nel suo stesso nome, in nome della maggioranza. Non c’è consenso che possa ammettere le ferite alla legalità alla legittimità alla libertà.
La Costituzione e la democrazia, di questi tempi un po’ incerta e labile, non sono un involucro vuoto, la promessa di un mondo senza futuro. È senza futuro la visione che ci propone questa maggioranza, edificata sul disfacimento sociale, sull’indifferenza, sul qualunquismo, sul sospetto, sull’iniquità. Opponiamogli un progetto fatto di solidarietà, sicurezza, legalità, trasparenza, istruzione e cultura, legame sociale e con la speranza che a lui non piace. Perché la speranza e la fiducia valgono più dei voti.
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