Anna Lombroso per il Simplicissimus
“Questo non è per un parco, questo è per la democrazia”. Lo slogan che campeggia sugli striscioni recati dai manifestanti a Istanbul, lo dovremmo alzare con la stessa forza e determinazione ogni volta che dietro agli annunci di interventi destinati a creare occupazioni, a far girare quattrini, a coinvolgere imprese nella grande menzogna del project financing, dei partenariati pubblico-privato, del mecenatismo muscolare dei costruttori, si nascondono opere, pesanti, brutte, velenose. Opere che, si realizzino, o meglio ancora, restino incomplete, divorano quattrini pubblici, creano lavoro effimero e a termine, limitato all’esercizio dei cantieri, esercitano una pressione formidabile sul territorio, offendono il paesaggio, dirottano investimenti dalla tutela del bene comune e dalla promozione dell’interesse generale verso il profitto privato di pochi.
Le proteste contro la cementificazione di Gezi Park, piccolo giardino urbano nelle vicinanze di piazza Taksim, sono diventate l’allegoria simbolica della prima, grande contestazione per rivendicare il diritto alla città, l’ utilizzo partecipato degli spazi pubblici, per avere voce nei processi decisionali che riguardano le esistenze di tutti, l’accesso alla bellezza, alla c0noscenza, a un benessere che significa vita buona, civile, solidale.
E infatti, come c’era da aspettarsi, le autorità hanno trasformato quella protesta nello sterile antagonismo, in barbaro disfattismo rivolto contro la modernità e l’europeizzazione, secondo quelle logica di espropriazione del l’abitare e del vivere insieme avviata con la costruzione di un altro ponte sul Bosforo, più inutile di quello di Calatrava a Venezia e quasi pesante come quello sullo Stretto, della demolizione di interi quartieri per l’edificazione del nuovo aeroporto, con la costruzione della mostruosa maxi-moschea di Camlica. Ma che culmina appunto nel risanamento tramite “coventrizzazione” di quartieri “scomodi”, di insediamenti vergognosi che è preferibile abbattere per pudore nei confronti di varie trojke, di svariate gerarchie ecclesiastiche, di puristi etnici, come è accaduto per gli agglomerati a alta presenza rom, o, oggi, a Tarlabasi, dove vivono comunità di immigrati e di “minoranze”, armeni, greci ortodossi, non islamici.
“Questo non è per un parco, questo è per la democrazia”, che anche fosse solo per un parco sarebbe giusta la protesta. Che assume, in più, il carattere della rivendicazione della libertà religiosa, della riaffermazione del carattere dalla laicità che vale per l’indipendenza di pensiero e atti, per l’autodeterminazione e il riscatto dalle ingerenze di ogni organizzazione ecclesiastica che vuole trasformare le sue regole di parte in etica pubblica. E che vale dunque , allo stesso modo, contro la teologia del mercato, che innalza centri commerciali in sostituzione delle piazze dove giocano bambini, si siedono vecchi, ragionano insieme uomini e donne incontrandosi sotto il cielo di ogni tempo, e che magari ci colloca vicino un chiesa o una moschea o una sinagoga, a beatificare il profitto e santificare l’accumulazione avida e crudele.
Si, questo non è solo per un parco, è per la democrazia. E questo non è solo per la democrazia, è per la nostra libertà, per la giustizia davanti alla quale si dovrebbe poter essere uguali, in piazza, in carcere, in chiesa, in fabbrica, uguali nel godimento di diritti e nella ricerca del bene comune. Uno spettro si aggira per l’Europa, che mette paura a chi teme libertà, uguaglianza, solidarietà, democrazia.