La densità lessicale: un possibile ostacolo nell'apprendimento del linguaggio scientifico

Da Naturamatematica @naturmatematica
Tutti abbiamo sempre sentito parlare di densità. Conosciamo la densità di una sostanza, intesa come rapporto tra massa e volume di quella sostanza; oppure abbiamo sentito parlare di densità di popolazione, intesa come rapporto tra numero di individui viventi sulla superficie di una determinata zona e l'estensione superficiale della zona stessa. E poi ci sono tante altre definizioni di densità che mirano al dettaglio in diversi suoi aspetti, come densità assoluta, densità relativa, densità apparente, ecc ecc. Ma avete mai sentito parlare della densità lessicale? Sicuramente no, a meno che siate addetti ai lavori (ossia insegnanti) interessati alla ricerca didattica, ma in generale non si tratta di un parametri non molto noto. In ambito didattico si definisce l'indice di densità lessicale di una frase come il rapporto tra la quantità di elementi lessicali e la quantità di elementi della frase. In parole povere bisogna contare quante parole compongono la frase, per il numero da mettere al denominatore, mentre al numeratore ci sarà la quantità di elementi lessicali, ossia le parole che, da sole, hanno un proprio significato (sostantivi, aggettivi e verbi). Facciamo un esempio, prendendo in considerazione la definizione di proprietà invariantiva della sottrazione:
Aggiungendo o sottraendo lo stesso numero al minuendo e al sottraendo di una sottrazione, la differenza non cambia.
Questa definizione contiene 18 parole, di cui 9 sono elementi lessicali. Avremo una densità lessicale pari a:

Un indice di densità lessicale pari a 0,5 o più alto non è tipico del linguaggio quotidiano, dove si aggira intorno a 0,3 o al massimo 0,4. E se poi consideriamo che, delle 9 parole di cui sopra, solo 1 terzo è fatto di verbi, che a differenza dei nomi facilitano l'esposizione, si può incominciare a comprendere la difficoltà che ciascuno di noi incontra nell'esporre in un linguaggio scientifico. E abbiamo inoltre preso una definizione non troppo difficile, perché in media la densità lessicale in matematica è intorno allo 0,6 sfiorando nei casi più complessi lo 0,7.
L'esito sperato da ogni insegnante di matematica intento a chiedere una definizione del genere ai propri alunni, è spesso molto variegato: o si tralascia qualcosa per strada o si fa fatica a sostituire la parola "risultato" con quella più specifica di "differenza", o si tralasciano parole scomode come "minuendo" e "sottraendo", ecc. Gli alunni che sanno dare una definizione del genere in maniera consapevole non sono molti. A dire il vero non sono nemmeno pochi, perché ci sono definizioni ben più complesse, ma, tolti i pochi che ne diventano padroni, spesso si tratta di alunni che hanno fatto affidamento alla memoria, più che ad una propria capacità di rielaborazione; capitano infatti spesso casi in cui si sa dire bene la definizione, ma poi nella pratica si è capito poco o male l'applicazione della proprietà stessa. Se però si fa un po' di mente locale, viene da pensare che quelli che meglio hanno interiorizzato la proprietà, tendono ad esporla in un modo più simile a questo:
Se si aggiunge o si sottrae lo stesso numero sia al minuendo che al sottraendo, il risultato non cambia.Questa definizione contiene ora 19 parole, di cui gli elementi lessicali sono 8. La densità lessicale ora è:Siamo ai limiti della densità lessicale mediamente diffusa nel parlato quotidiano. Chiaramente la definizione ha subito qualche cambiamento significativo: è sparito il contesto, perché non c'è più scritto "in una sottrazione", che rende la definizione completa, ma diciamo anche che è deducibile dal fatto che ci sia un minuendo ed un sottraendo (sappiamo essere tolleranti anche noi prof. ^__^); è inoltre stata sostituita "differenza" con "risultato", che non è sbagliato, ma è meno preciso. Sono aumentati gli elementi grammaticali ("si", "se", ecc.) e un altro cambiamento sta nel rapporto tra elementi verbali/elementi nominali, perché adesso i verbi sono sempre 3, ma gli elementi lessicali si sono ridotti a 8: il rapporto, anche se di poco, si è comunque alzato, indice del fatto che il verbo è più familiare e può rendere più agevole l'esposizione. In sintesi, è come se, inconsciamente, lo studente avesse trovato una strategia per alleggerire il lavoro richiesto dalla consegna.
Il fatto che il linguaggio scientifico possa presentare degli ostacoli simili non è qualcosa di trascurabile, soprattutto in una disciplina come la matematica, in cui c'è un linguaggio rigoroso da organizzare secondo una ben precisa logica. E soprattutto molti miei colleghi sanno che spesso i nostri ragazzi sanno applicare una proprietà, l'hanno capita, ma poi fanno una grande fatica ad esporla. Spesso è carenza di applicazione, ma è indubbio che ci siano anche delle difficoltà intrinseche, di natura cognitiva, e proprie di alcune discipline. E sappiamo inoltre che col linguaggio simbolico, del tipo a + b, riusciamo tutti ad esprimerci ed a a cogliere molto più facilmente una determinata proprietà, anziché a parole.
Cosa possiamo fare noi insegnanti? Beh, il nostro possibile, come sempre facciamo, ma magari a volte conviene soffermarsi un po' più sulla costruzione logico-verbale di una definizione o di una proprietà, che sull'esecuzione pratica della stessa, perché è nell'organizzazione del linguaggio che in effetti risiede l'essenza delle discipline scientifiche, e anche in quel momento mettiamo al lavoro la logica. E forse fare qualche volta un lavoro di autoanalisi di questo genere potrebbe aiutarci un po' di più a capire quando, come e perché i nostri ragazzi ci hanno sorpreso imparando quella tale definizione, che abbiamo sempre ritenuto difficile, anziché quest'altra che abbiamo sempre ritenuto facile. E' come se dovessimo sforzarci di diventare bravi a capire quanDo siamo stati... bravi ^__^Dodman M. (2006). Sapere linguistico e sapere matematico. Atti del Convegno Castel San Pietro Terme 2006.

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