di Natale Zappalà
La memoria “collettiva” o “storica”, secondo la celebre definizione dello storico Pierre Nora, è «il ricordo, o una serie di ricordi, più o meno consci, di un'esperienza vissuta o mitizzata da una collettività vivente, della cui identità fa parte integrante il sentimento del passato». La possibilità di identificare con le radici elleniche – riassumendo convenzionalmente coi termini “radici elleniche” o “grecità” un tutto organico di lingua e cultura comune peculiarmente e indelebilmente determinante nella processo di formazione della memoria storica locale – del territorio reggino con tale “esperienza vissuta o mitizzata dalla collettività vivente” dipende dalla lunga durata – dall'VIII sec. a.C. sino all'età moderna – in cui la grecità ha inciso profondamente sul divenire storico dell'Area dello Stretto, illuminando di riflesso il Meridione intero e – latu sensu, per le ragioni che verranno esplicate – il sapere umano nella sua interezza. Qualche esempio legittimerà quest'ultima convinzione. Il greco di Calabria non è forse diretto erede e miracolo di sopravvivenza della lingua di Omero? E, a proposito di Omero, non furono forse gli Eubei destinati a fondare Rhegion, Zankle o Metauros – odierne Reggio, Messina e Gioia Tauro – ad ambientare i luoghi descritti nell'Odissea sullo Stretto e sul Basso Tirreno? E l'alfabeto calcidese, utilizzato correntemente proprio in questi luoghi, appreso dai Romani tramite la vicina Cuma, non è forse il progenitore dell'odierno maiuscolo, così come la “carolina”, certamente più “pubblicizzata” dalla manualistica scolastica, lo è del minuscolo? Il Mezzogiorno, l'Italìa delle fonti, non fu in epoca classica uno dei più floridi luoghi della cultura, meta dei viaggi di istruzione compiuti dai sapienti dell'epoca – il più noto sarà il filosofo Platone, agli inizi del IV sec. a.C. –, desiderosi di apprendere le dottrine pitagoriche insegnate nei sinedri di Magna Grecia? E cosa ne sarebbe stato della civiltà umanistico-rinascimentale, e quindi della formazione del pensiero moderno, se i monaci italo-greci non avessero contribuito a copiare le antiche opere in greco? E cosa avrebbero capito Petrarca, Boccaccio e la loro cerchia di umanisti dell'Iliade e dell'Odissea se Barlaam di Seminara e Leonzio Pilato non avessero tradotto in latino, per la prima volta, i poemi omerici?
L'influenza genetica degli Elleni in Calabria.
Fonte: Piazza A., "L'eredità genetica dell'Italia antica", Le Scienze, n.278, vol. XLVII del 1991