Il lago Castel si trova in val Formazza, sulla strada che dal rifugio Maria Luisa porta alla salita del Monte Basodino. Il punto di partenza per la nostra escursione è Riale (1720m) tranquillamente adagiata ai piedi dei maestosi tremila della Valle Formazza.Lasciata l’auto al piccolo parcheggio dell’abitato ci troviamo di fronte ad una prima scelta: salire seguendo i tornanti della strada sterrata di servizio che porta al rifugio Maria Luisa oppure prendere i piccoli sentieri che salgono, in modo sicuramente più deciso, verso il nostro obiettivo tagliando ed intersecando la carrabile prima descritta.Qualunque strada si scelga bisogna salire! Dopo circa una ventina di minuti ci fermiamo per ammirare il panorama che si sta lentamente aprendo alle nostre spalle: dalla diga di Morasco al Blinnenhorn, dai corni di Nefelgiù alla punta della Sabbia, e sul fondovalle si delinea la sagoma della chiesetta di Riale. Riprendiamo a salire sfruttando gli ampi tornanti del sentiero per continuare ad ammirare la parata di tremila che si posizionano di fronte a noi. Dopo circa 50 minuti “scolliniamo” ed entriamo nel pianoro che porta al Maria Luisa; dopo qualche centinaio di metri incontriamo sulla destra una deviazione che indica il tour del Basodino: dobbiamo seguire questo sentiero che in circa dieci minuti ci porta al lago Castel. Il colore del lago, a fine primavera, assume una tonalità di azzurro che quasi ci confonde; non siamo in qualche atollo sperduto nei mari del sud ma siamo ai 2200 metri della val Formazza. Continuiamo il giro del lago per ammirare la sagoma del monte che ha dato nome al lago, il Kastelhorn, e tutte le vette che lo circondano. Torniamo sui nostri passi per gustarci la parata dei Tremila da una posizione di assoluto predominio sulla valle sottostante. A poco a poco che ci allontaniamo dal lago il contrasto di colori emoziona l’escursionista che non conosce a fondo la Valle Formazza e le sue bellezze non sempre adeguatamente pubblicizzate. Prima di rientrare “Zoomiamo” sul lago del Toggia poco distante e sul sentiero che conduce al passo di San Giacomo. Rientrando per il percorso dell’andata non possiamo fare altro che continuare ad ammirare il panorama che ci circonda, con la promessa di tornare quanto prima in questi luoghi meravigliosi.
La zona del Lago Castel fu teatro di una grande tragedia agli inizi del secolo scorso.
Qualche tempo fa scrissi una breve relazione per un sito che ora vi ripropongo.
E’ il 1923, novembre.
Gli operai lavorano alla costruzione del muraglione della diga che andrà a chiudere e sollevare le acque del lago Castel in alta valle Formazza.
Il cielo è limpido, solo poche nubi si affacciano timide dalle maestose creste della catena del Basodino.
Un suono, portato dal vento, si diffonde nella piana: è la campana della baracca adibita a mensa. Tutti i lavoranti si fermano, si raddrizzano e si dirigono in silenzio verso i tavolacci del casolare per un’ora di pausa in quella giornata di normale fatica. A vederli dall’uscio della baracca sembrano tante piccole formiche che costeggiano il lago, senza differenze tra umili operai, pensierosi capisquadra e preoccupati costruttori.
Dopo una sola ora di riposo tutti tornano alle loro mansioni; bisogna correre la costruzione è in ritardo ed i problemi da affrontare e risolvere sono molti. Gli addetti alla cucina riassettano tutto in poco tempo, anche loro vengono impegnati nei lavori: non c’è scampo per nessuno, tutti devono portare il loro contributo alla modernità.
Il pomeriggio dura poco, il sole tramonta presto e la temperatura diventa rigida.
I lavoratori finiscono le loro mansioni senza immaginare che sarà per l’ultima volta.
Il muraglione è quasi ultimato, ma nel corso del tempo ci si è accorti che il terreno sottostante è di natura calcarea; i costruttori pregano di giorno e di notte che sia in grado di reggere l’enorme peso della diga, senza pensare alle possibili conseguenze di un cedimento strutturale. Un altro problema che si è verificato è relativo alla scarsa possibilità di sollevare le acque del lago per un corretto utilizzo dell’invaso.
Ma la diga deve esistere, e deve essere anche bella.
Le baracche accolgono le maestranze con il loro gelo e la luce fioca delle candele.
Si ride e si scherza pensando di passare un altro inverno su queste montagne, lontani dagli affetti e dal calore delle proprie case.
La notte incombe.
Alle quattro del mattino la valle viene svegliata da un boato assordante. La diga non ha retto. I lavoratori escono di corsa dalle baracche capendo immediatamente quello che sta succedendo e cercano riparo sulle alture circostanti l’invaso; alcuni per sfuggire alle acque impetuose ed ai detriti si arrampicano sui ripidi pendii del Kastelhorn ,con mezzi di fortuna ed al buio della notte novembrina.
Per loro fortuna nessuno perirà.
Le acque liberatesi dalla prigione costruita dall’uomo corrono veloci verso valle, distruggendo tutto quello che trovano sul percorso. In pochi minuti la piana sottostante di Riale viene invasa: il bestiame non ha scampo. Le persone per loro fortuna si in quanto le acque, ma soprattutto i detriti, hanno risparmiato le costruzioni e si sono incanalate nello stretto corridoio che porta alle cascate del Toce, dove finiscono la loro folle corsa.
Alle prime luci del mattino la vista del paesaggio è desolante: i pascoli sono spariti sostituiti per sempre da terra e pietre; la valle ha cambiato aspetto, imbruttita e rovinata dalla stupidità e dall’arroganza umana.
Fabio Casalini
Magazine Viaggi
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