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La diga di cartapesta; la tragedia del lago Castel

Creato il 01 gennaio 2011 da Fabiocasa
La diga di cartapesta; la tragedia del lago Castel
La diga di cartapesta; la tragedia del lago Castel
E’ il 1923, novembre.
Gli operai lavorano alla costruzione del muraglione della diga che andrà a chiudere e sollevare le acque del lago Castel in alta valle Formazza.
Il cielo è limpido, solo poche nubi si affacciano timide dalle maestose creste della catena del Basodino.
Un suono, portato dal vento, si diffonde nella piana: è la campana della baracca adibita a mensa. Tutti i lavoranti si fermano, si raddrizzano e si dirigono in silenzio verso i tavolacci del casolare per un’ora di pausa in quella giornata di normale fatica. A vederli dall’uscio della baracca sembrano tante piccole formiche che costeggiano il lago, senza differenze tra umili operai, pensierosi capisquadra e preoccupati costruttori.
Dopo una sola ora di riposo tutti tornano alle loro mansioni; bisogna correre la costruzione è in ritardo ed i problemi da affrontare e risolvere sono molti. Gli addetti alla cucina riassettano tutto in poco tempo, anche loro vengono impegnati nei lavori: non c’è scampo per nessuno, tutti devono portare il loro contributo alla modernità.
Il pomeriggio dura poco, il sole tramonta presto e la temperatura diventa rigida.
I lavoratori finiscono le loro mansioni senza immaginare che sarà per l’ultima volta.
Il muraglione è quasi ultimato, ma nel corso del tempo ci si è accorti che il terreno sottostante è di natura calcarea; i costruttori pregano di giorno e di notte che sia in grado di reggere l’enorme peso della diga, senza pensare alle possibili conseguenze di un cedimento strutturale. Un altro problema che si è verificato è relativo alla scarsa possibilità di sollevare le acque del lago per un corretto utilizzo dell’invaso.
Ma la diga deve esistere, e deve essere anche bella.
Le baracche accolgono le maestranze con il loro gelo e la luce fioca delle candele.
Si ride e si scherza pensando di passare un altro inverno su queste montagne, lontani dagli affetti e dal calore delle proprie case.
La notte incombe.
Alle quattro del mattino la valle viene svegliata da un boato assordante. La diga non ha retto. I lavoratori escono di corsa dalle baracche capendo immediatamente quello che sta succedendo e cercano riparo sulle alture circostanti l’invaso; alcuni per sfuggire alle acque impetuose ed ai detriti si arrampicano sui ripidi pendii del Kastelhorn ,con mezzi di fortuna ed al buio della notte novembrina.
Per loro fortuna nessuno perirà.
Le acque liberatesi dalla prigione costruita dall’uomo corrono veloci verso valle, distruggendo tutto quello che trovano sul percorso. In pochi minuti la piana sottostante di Riale viene invasa: il bestiame non ha scampo. Le persone per loro fortuna si in quanto le acque, ma soprattutto i detriti, hanno risparmiato le costruzioni e si sono incanalate nello stretto corridoio che porta alle cascate del Toce, dove finiscono la loro folle corsa.
Alle prime luci del mattino la vista del paesaggio è desolante: i pascoli sono spariti sostituiti per sempre da terra e pietre; la valle ha cambiato aspetto, imbruttita e rovinata dalla stupidità e dall’arroganza umana.

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