Tra i molti titoli assegnati all’ultimo film di Woody Allen forse To Rome without Emotion sarebbe calzato meglio del promettente e velleitario To Rome with Love. Nelle sale italiane dal 20 Aprile, l’ex Nero Fiddled (e prima ancora The Bop Decameron) aveva riempito i cuori dei fan nostrani di grande gioia: finalmente il grande regista newyorkese aveva scelto l’Italia come sfondo della sua nuova fatica. Purtroppo la “fatica” ricade a piene mani sugli ignari spettatori. Abbandonato il classico motivetto jazz d’apertura, le note di “Nel blu dipinto di blu” di Modugno fanno da sfondo ad un vigile urbano intento a svolgere – male – il proprio lavoro in Piazza Venezia. Il vigile si presenta nella doppia veste di prologo (consapevole) della pellicola e metafora profetica (inconsapevole) del giudizio di valore. La prosecuzione si destreggia nella narrazione di quattro storie indipendenti, accomunate solo dal fatto che tutte si svolgono nella Città Eterna. Nella prima, Hayley (Alison Pill), turista americana, trova l’amore della sua vita, Michelangelo (Flavio Parenti), nella capitale italiana. I due decidono di sposarsi e per questo motivo arrivano dagli States i genitori di lei: Jerry (Allen), impresario musicale in pensione, e Phyllis (Judy Davis), psichiatra. Jerry scopre casualmente le doti canore del consuocero, proprietario di una ditta di pompe funebri, interpretato dal noto tenore italiano Fabio Armiliato, che però riesce a dare il meglio di sé soltanto sotto la doccia. La magnifica e visionaria soluzione trovata dell’impresario musicale, somiglia molto però ad una puntata de “I Simpson”, Homer di Siviglia (diciannovesima stagione, secondo episodio, in Italia trasmesso nel gennaio del 2009, in America nel settembre del 2007).
La seconda storia narra le bizzarre vicende di un uomo qualunque, tale Leopoldo Pisanello (interpretato dal nostro toscanaccio Benigni) che improvvisamente si trova al centro dell’attenzione dei media, salvo poi esserne escluso altrettanto velocemente e in modo alquanto brutale. Una terza storia ha per protagonisti una coppia di sposini di Pordenone (curiosamente vestiti come se vivessero negli anni ’60), Milly e Antonio (rispettivamente Alessandra Mastronardi e Alessandro Tiberi), in visita nella capitale in cerca di fortuna. A causa di una serie di peripezie e di scambi di persona da commedia all’italiana, i due avranno modo di approfondire il loro amore e la loro vita intima. Separatamente. L’ultimo episodio prende spunto dalla storia di un architetto americano, John (Alec Baldwin), in visita in Italia dopo trent’anni. Durante una passeggiata s’imbatte in uno studente di architettura, Jack (il promettente Jesse Eisenberg), grazie al quale John rivive la sua gioventù da studente, immedesimandosi nelle vicende amorose del giovane. Woody Allen ritorna dopo anni – dal 2006 con Scoop – nella triplice veste di regista, sceneggiatore e attore. Ne esce una riflessione sulla Notorietà e sul Successo cercato con diverse modalità come realizzazione di sé. La trama è ricca di vicende, il cast zeppo di celebrità straniere e nostrane, Roma fa da imponente sfondo dalle tinte calde, eppure…
Tutta la pellicola sembra velata da un’inconsistenza che neanche le sparute battute brillanti riescono a squarciare. Sembra quasi che il regista si sia perso tra le molteplici voci di questo lungometraggio corale – che quasi nulla ha a che fare con l’iniziale ispirazione a Boccaccio, tranne per qualche sfumatura lasciva – e non riesca ad arrivare al punto. Da grande pittore di metropoli, Allen lascia un’immagine dell’Urbe e, per estensione, dell’Italia piccola e un po’ gretta: i protagonisti autoctoni sono caratterizzati da un perbenismo di facciata pronto a crollare non appena si presenti loro l’occasione più propizia; i vacanzieri americani, sebbene meno chiusi mentalmente, non ne escono tanto meglio: confusi, volubili e perennemente insoddisfatti. Tra gli episodi, qualche merito bisogna riconoscerlo alla vicenda di Leopoldo Pisanello; l’improvvisa e immotivata celebrità di questo personaggio è senza dubbio surreale ed ironica ma sembra nascondere una sottile critica alla vacuità del giornalismo. Qualcuno ha visto in questo episodio dei riferimenti ai paparazzi di Fellini, ma Leopoldo è intervistato dal TG3 e dal TG5, che normalmente non si occupano di gossip. Se si fosse trattato di Studio Aperto sarebbe stata un’opinione più facilmente condivisibile!
Brava Penélope Cruz nel vestire (e svestire) i “ridotti” panni di una prostituta di nome Anna, nota a tutta la classe dirigente romana (notevole lo sforzo d’immaginazione da parte del tagliente regista), e nell’interpretare il suo personaggio in italiano. Improbabili, e per questo vagamente ridicoli, i ruoli di Monica, la femme fatale impersonata da Ellen Page (sicuramente bella ma acerba come un’adolescente), e del famoso attore sex symbol Luchino Salta, i cui panni sono vestiti da Antonio Albanese. Assolutamente imperdonabili le intrusioni continue e tremolanti della giraffa durante tutta la proiezione. Un errore che mai ci si aspetterebbe da un grande cineasta. Nell’insieme To Rome with Love somiglia ad un coro intento a cantare melodie diverse – non aiuta neanche la colonna sonora in stile …Altrimenti ci arrabbiamo!, se si escludono le grandi opere liriche del passato interpretate da Armiliato – che per questo motivo soddisfa le orecchie di pochi.