Povera Costituzione, strattonata secondo bisogno o sopruso, minacciata nei suoi capisaldi che poi sono i nostri diritti. E interpretata arbitrariamente dai più improbabili custodi di valori comuni, che accomunano solo una parte che poi è sempre la stessa, nemica della democrazia, dell’autonomia delle persone, della loro uguaglianza. Adesso è la volta dell’Avvenire che ostinatamente rappresenta la chiesa dell’enclave di gerarchie autoritarie e sorde ai bisogni anziché una comunità dei credenti di una fede basata sull’amore e la compassione.
“Porre sullo stesso piano coppie che, sposandosi civilmente o religiosamente, assumono un preciso impegno pubblico e persone che, per scelta o per impossibilità, non rendono vincolanti i propri legami ‘affettivi’, significa violare la lettera e lo spirito della nostra Carta fondamentale”, scrive il quotidiano della Conferenza episcopale italiana, commentando la decisione della giunta Pisapia a Milano di destinare i fondi anticrisi anche alle coppie di fatto.
Di questi tempi pare sia di moda oltraggiare Don Milani stiracchiato da tutte la parto come la Costituzione appunto. E dopo le spericolate interpretazioni di Cacciare per legittimare le acrobatiche operazioni amministrative di Don Verzè, se ne appropria indebitamente l’Avvenire: “La peggiore ingiustizia, lo insegnava anche don Lorenzo Milani, è trattare in maniera uguale situazioni differenti”.
Per il giornale dei vescovi è necessario “evitare riconoscimenti impropri e dare chiara e incontestabile priorità alla famiglia fondata sul matrimonio. Che non è favorita dalla costituzione per ‘ideologia’, ma perché orientata a garantire quei rilevanti beni sociali che sono la stabilità delle relazioni fondamentali e la creazione di un ambiente più accogliente per i figli”.
Nel clima di liberalizzazione dell’uguaglianza, per il quotidiano della Cei, “Qui non ci sono discriminazioni da sanare, ma condizioni e scelte oggettivamente diverse”. Come dire che si è liberi di compiere scelte di vita, conseguenti a inclinazioni e convinzioni, ma che se non sono coerenti con l’etica pubblica, che è quella della chiesa, allora si è soggetti a una giusta e legittima discriminazione e bisogna pagarle care, care più dell’Imu, dalla quale solo enti “riconosciuti” più dei diritti, sono immuni.
È un tutt’uno tirare da tutte le parti la Costituzione ed anche lo Stato e le sue istituzioni, reclamandone un interventismo in materia di famiglia e di comportamenti privati, in modo che si adeguino e subiscano un ordine morale di parte, non sappiamo neppure quanto numerosa e comunque non universalmente rappresentativa. Secondo la chiesa del clero lo Stato è vicario nelle leggi e nelle regole, incaricato di applicare i suoi principi per regolare l’esistenza degli individui cittadini dalla nascita alla morte, in tutto quel lungo tempo di vita che la persona dovrebbe poter governare seguendo la propria sensibilità, le proprie inclinazioni e compiendo le scelte che gli sono più congeniali.
Ed è proprio quello che la nostra Carta indiscutibilmente stabilisce, alla faccia di chi sostiene il contrario. Dimenticarlo e contestarlo apre la porta, come in altri settori della vita – lavoro, cittadinanza – a azioni di restrizione dei diritti e allo smantellamento delle leggi che li garantiscono, anche quando si tratta di conquiste amare, dolorose e che significano lacrime, contrasti personali, percorsi ardui e sofferti.
Abbiamo una Costituzione “eticamente sensibile” in contrasto con forme di prevaricazione che si impadroniscono della vita delle persone e rivelatrici dell’ipocrisia e dell’inadeguatezza delle istituzioni pubbliche, dalla fuga all’estero in un esilio forzato delle coppie che cercano di liberarsi dalla rete proibizionista della legge sulla procreazione assistita, all’impraticabilità delle terapie contro il dolore, dalla colpevolizzazione dell’istanza di una morte dignitosa alle ruspe che come bestioni crudeli e ubriachi abbattono misere baracche in quartieri periferici.
Sarebbe doveroso che venisse rispettata e per stare in Europa invece di guardare allo spread sarebbe d’uopo di ispirassimo alla Carta dei diritti fondamentali quando afferma che è vietata qualsiasi forma di discriminazione, aprendosi al rispetto delle libertà esercitate nella vita di ogni giorno, nelle scelte esistenziali, nella professione di fede, nelle inclinazioni, nel volere e poter stare con qualcuno anche dello stesso per amore, affetto, solidarietà, compagnia in tanta solitudine del mondo. Scegliendo un vincolo solo virtuale o potendolo consolidare nel contesto delle leggi statali. Con o senza la bendiaizone di una occhiuta autorità ecclesiastica più attenta a un arcaico conformismo che alle belle e varie forme che può assumere l’amore.