La disfatta di Sparta – poesia

Creato il 04 ottobre 2012 da Thefreak @TheFreak_ITA

Salvami, caro, da me stessa,

stendi le tue mani sulla

mia follia affamata di

tempo, perché sigillo sei

sul mio cuore altero.

Ricordi che bocciolo di

caparbietà apparivo?

Armata di spada andavo

per le vie della giovinezza,

incurante delle mode e

degli sguardi feroci come

tigri preparate all’assalto.

Hai gustato i miei giorni

acerbi, luminosi come

lo sanno essere le prime

ore primaverili e le

passioni embrionali.

Mi sono nutrita di lemmi

avvizziti, tali seni che

dita cieche non hanno colto,

i fianchi miei duri,

androgini, disadorni di

foglie e gemme rugiadose,

che sovente ho disprezzato.

Pietra ero, chiusa al languido

sentire degli innamorati,

nemica di ogni dolcezza

che urtasse la mia armatura

forgiata da lui, Vulcano.

Oh, se mi fossi guardata più

spesso da uno specchio lunare,

avrei scorto la sete tra

quelle pieghe di ostilità,

la fame tra gli scogli d’una

infuocata desolazione.

Stoltezza solevo abbracciare.

Ma la strada dall’ingenuità

al maturo discernimento

chiede conto di ogni cosa.

E’ bastato un benedictus

profano a strapparmi dal petto

lacrime opache, come opaco

è il cielo di chi non sa amare.

Il mio sicomoro si è

fatto strada nelle viscere,

è cresciuto come infante

che dal ventre urla alla vita

e rende presente un mistero

primordiale ed insoluto.

Dal buio, lacci in ogni dove,

appigli come fiere stelle.

Sbocciata è la mia carne!

Un corpo come urna per le

ceneri vecchie e i fiori

che dall’humus del cuore mio

hanno sfidato la notte e

si sono innalzati come

bandiere sul suolo nemico.

Trasformata in rovine Sparta

bellicosa e innalzata la

mia Gerusalemme, che è

il mare dei mercanti, le

montagne dei partigiani.

Ho creduto di conoscere

la storia della vita, ma pazza

ero nella mia cecità.

Di rose hai coperto le

colline di questa anima

tormentata, ora calda ed

accogliente, quasi alcova

santificata dai doni

dei vergini amanti che mi

abitano e mi ricordano

la mia identità più pura:

mendicante di tenerezza.

di Ilaria Cuffolo All rights reserved


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