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Secondo Umberto Galimberti in una società come la nostra chi non lavora non esiste.
Secondo il filosofo italiano “oggi il disoccupato è un non-esistente, e ciò di cui soffre non è l’assenza di lavoro, ma l’assenza di vita, essendo la vita qualcosa di accessibile solo attraverso il lavoro”.
In una società dei consumi dove tutto è mercificabile, in una società dove consumare è quasi obbligatorio, una società dove tutta una serie di cose sono diventate essenziali e da possedere, ebbene in una società come questa essere disoccupato è la cosa peggiore del mondo perchè ti “preclude” la vita, se per vita intendiamo possedere tutta una serie di cose che come già detto sono indispensabili e soprattutto se per vita intendiamo seguire tutto “un modo di fare” caratteristico della società dei consumi su citata.
La condizione di disoccupazione implica una sorta di “annullamento dell’individuo” o comunque lo riduce ad una situazione di vita “precaria” e “manchevole” di tante cose.
Inoltre se aggiungiamo a ciò che abbiamo detto fino ad adesso il fatto che nel momento attuale la disoccupazione stia crescendo per la crisi economica e per le tante riforme di austerità e rigore allora forse arriviamo alla conclusione che tante persone “sono” in condizioni di vita “insostenibili” sotto tutti i punti di vista.
Quindi una società capitalista e neoliberista come la nostra ha tra i suoi punti di forza il fatto che lavorare è indispensabile al mondo d’oggi alla luce dell’analisi di Galimberti: lavorare certamente è stato sempre indispensabile per motivi ovvi ma in una società come la nostra lo è ancora di più perchè serve a “soddisfare” bisogni sia “materiali” che “spirituali”(http://systemfailureb.altervista.org/bisogni-materiali-e-bisogni-spirituali/).