Ultimamente, questo pensiero mi passa sempre più spesso per la testa: la disoccupazione, quasi che fosse una “moda”, quasi che fosse stata in auge negli scorsi anni per poi avviarsi verso il naturale decorso della sua breve (lo speriamo tutti, anche se poi non è così) triste storia, è passata di moda.
Quasi che sia stata esorcizzata dalle parole piene di speranza (si, perchè lui lo spera, ma noi la sappiamo diversamente) pronunciate dal caro Renzi a fine anno “le famiglie italiane sono più ricche!”
Io penso che, più semplicemente, sia passata di moda, perchè quasi più nessuno ne parla. E sicuramente più nessuno ne vuole sentir parlare.
Stessi soliti discorsi, triti e ritriti, attorno alle tavole e agli angoli delle strade. Nulla di nuovo sotto il sole occidentale: chi era disoccupato continua ad esserlo, in varie forme, a vari stadi di impiego e di disperazione. Chi non lo è pensa che non sia un suo problema, la disoccupazione. O più semplicemente si è stufato delle “solite lagne da disoccupati“, da gente incapace di trovarsi un lavoro.
Quando in tv passano i programmi di attualità si cambia canale, alla ricerca di qualcosa di più leggero, perchè “ognuno ha le sue preoccupazioni” e “tanto non cambia niente” e si, sotto sotto pensiamo che, come tutte le cose che passano in tv, le storie siano preconfezionate, che in fondo siano false, o almeno un pò ingrossate per suscitare la pietà della gente, o chissà che altro.
Le istituzioni e gli “organi dii competenza” preferiscono tacere, dimenticarsi di noi, nasconderci come polvere sotto al tappeto.
Le statistiche sulla disoccupazione non fanno più scalpore, quasi più notizia, tranne le solite storie strappalacrime, confezionate ad hoc per tirare su l’audience di certi programmi “piagni piagni” e certe pagine facebook che non sanno in che altro modo tirare su like (l’avete letta quella del ragazzo plurilaureato che fa il clochard a Milano? tanto dispiacere, tanta solidarietà, poi approfondisci e scopri che “sta facendo colloqui”, che “la gente lo chiama”, e che la famiglia “vuole mantenere il riserbo sulla sua vita, sul suo futuro”. e quindi? l’equazione vado a fare la clochard e lo racconto su facebook = mi chiamano per un posto di lavoro è vera o no?)
E così, pian piano, l’attenzione sul “problema” della disoccupazione si spegne, cade nell’oblio.
Non per chi lo è, disoccupato, certo. Chi lo è ha comunque talmente impegnato a ESSERE disoccupato, da non aver tempo – nè voglia – di PENSARE alla disoccupazione.
Se prima eravamo in “pochi” adesso siamo “in tanti”, a essere disoccupati, e quindi non siam più di moda. Come vestiti della scorsa stagione, che non si possono portare più, di noi non si può più parlare, abbiamo stufato.
Ormai siamo in troppi, noi disoccupati, una massa francamente scomoda, più o meno ingestibile anche a livello di comunicazione, e quindi non siamo più di moda.
Lo vedo persino io quando guardo le statistiche del blog: passano sempre in meno a leggere, sempre in meno a commentare. Sempre meno solidarietà per le storie che sentiamo, sempre meno indignazione, sempre più silenzio. Basito o arrabbiato o semplicemente stanco che sia…
Il silenzio è una brutta bestia, e forse, ammazza più della disoccupazione.
Ma siamo tutti così impegnati a barcamenarci con le nostre vite, a superare le piccole e grandi difficoltà che ci si pongono sul cammino di ogni giorno (che VOLUTAMENTE ci vengono poste sul cammino di ogni giorno, per occuparci e impedirci di pensare), che arriviamo a fine giornata senza aver avuto tempo di pensarci, alla disoccupazione.
Sotto sotto, senza averlo voluto, ci siamo dimenticati di esserlo, disoccupati, e siamo diventati disoccupati troppo impegnati a fare altro.