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Martedì 6 novembre 2012
Aσκήσεις (3): La dissimulazione onesta
Meditando sul conformismo e sull’ipocrisia della società del suo tempo, l’autore si interroga su quale possa essere la risposta e la reazione dell’uomo onesto. Accetto vuole dimostrare che la dissimulazione, quando si identifica con la prudenza e non giunge alla volgare menzogna, diventa nelle mani del saggio un’arma per difendersi dall’oppressione dei potenti. (dalla Voce Dissimulazione onesta di Wikipedia)
La dimensione privata del silenzio si arricchisce di una modalità personale di risposta agli insulti del tempo quando si renda necessario tacere di fronte a un torto grave subito. Prepararsi a un incontro sgradevole, con persona a cui si vuole bene, nonostante tutto, non è facile proprio perché ci spinge a parlare il sentimento che si prova ancora. (Non parlo, qui, del sentimento che ci lega a un partner dell’altro sesso). Il valore di una persona, da cui sempre il sentimento trae la sua ragion d’essere, costituisce per noi un dato ineliminabile, un ‘ostacolo’ da superare. Andare oltre ciò che pure ci fa soffrire e ostentare serenità non è facile, quando non si è sereni, ma è l’esercizio necessario da compiere, e va fatto ‘all’istante’, al cospetto della persona interessata. E’ un genere di esercizio che non può esser fatto se non ‘in presenza’. Per questo, l’incontro che mi aspetta sarà sgradevole.
La sua sgradevolezza dipende dal fatto che non è stato possibile perdonare il torto subito, a causa dello stile di vita dell’altro, improntato a superbia e noncuranza. Parlo di quel genere di Educatore che non risponde al telefono e alle lettere personali, perché impegnato in cose troppo grandi perché si dedichi, anche solo per pochi minuti, a noi. Nel contesto di appartenenza che ci è comune, una ‘guerra’ aperta non è mai raccomandata. Non è sufficiente ‘avere ragione’. Le grandi organizzazioni hanno un’etica non scritta che prevede un accordo incondizionato con le ragioni del Fondatore o del Capo. Di fronte alla nobiltà e all’altezza della spinta ideale, le nostre ragioni, tutte le ragioni private, sono elise, cancellate con quel silenzio che noi odiamo di più, perché mortifica le persone oneste e perpetua le ingiustizie. Le distorsioni provocate dalla rigidità di un carattere che mal si addice a un Educatore sono, così, nascoste. La situazione ci vede oggettivamente in difficoltà. Siamo nella condizione morale di non poter parlare. Proprio perché non ci è consentito combattere una battaglia di giustizia, dobbiamo tacere.
Io credo, allora, che questo tacere sarà una chiara forma di dissimulazione onesta. Metteremo tra parentesi la verità a fin di bene. La nostra non sarà ipocrisia – non abbiamo da trarne alcun vantaggio, anzi si accrescerà il danno! – né menzogna: non affronteremo le ragioni del dissidio. Non diremo le vere cause delle assenze recenti a importanti incontri collettivi. Eviteremo ogni contatto diretto con le persone che hanno ‘partecipato’ all’azione ignobile. Altro non ci è concesso dalle circostanze.
La pratica della chiarezza, che ci spinge nell’organizzazione a dirci le cose, a perdonare i torti subiti, a non conservare rancore non riguarda noi, che siamo in condizione di cattività. Non possiamo agire. Questa è una gigantesca contraddizione delle organizzazioni tutte, anche di quelle che mettono al primo posto della scala dei loro valori l’onestà.
Nel corso della mia vita, ho praticato sempre la strada difficile dell’abbandono, delle dimissioni. Il valore dell’esperienza in corso è tale che non può essere messa in discussione da un piccolo gruppo di farisei. Si tratta di limitare il danno, praticando una forma di silenzio che occorre comprendere. Essa sarà costosa. Non è detto che sarà possibile praticarla fino in fondo. L’esercizio potrebbe anche fallire.
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Leggere anche
Aσκήσεις (1): La nostra esperienza morale
Aσκήσεις (2): Lo spirituale un tempo