Il cinema d’autore, nel passato, veniva considerato come un genere prediletto e tutti quegli artisti che fuoriuscivano dal coro venivano attesi con un grande abbraccio dall’industria cinematografica. Basti pensare ai grandi registi del passato: da Charlie Chaplin a Fellini, passando per Kubrick e Truffaut, che realizzavano prodotti particolari, (in cui era racchiuso dentro la pellicola il loro essere, la loro particolare visione del cosmo), che venivano proiettati come opere per la massa, per il grande pubblico quando in realtà sono dei film molto complessi e di dificile visione. Questo oggi non accade più! Il cinema d’autore trova poco spazio nell’industria cinematografica che ormai ha preso altre strade che puntano più sulla commerciabilità del film che non su la ricercatezza e il film complesso. Nella realizzazione di un film convergono una gran quantità di professionisti che spaziano dalle luci, dalla scenografia fino al montaggio e la sceneggiatura. Il regista sta divenendo sempre di più un lavoratore al pari degli altri, mentre dovrebbe ritornare ad avere un ruolo centrale in cui ogni singolo settore della costruzione dell’opera cinematografica passi sotto le sue direttive. Il regista dovrebbe occuparsi, (pur con l’aiuto degli adetti al settore), del montaggio, sceneggiatura etc.. Solo così potrà mettere il suo timbro fisico – mentale sul prodotto finale. In questo periodo storico escono dei film con un buon livello narrativo, che vincono anche degli oscar, che però sono un elaborato di gruppo in cui il regista non mette niente di suo, non propone la sua speciale e unica visione del mondo, ma rimane oggettivo mostrando solo dei fatti; abbiamo così mille registi che riprendono sempre in modo identico. Gli autori alla Chaplin sono svaniti, solo in pochi riescono a rimanere in piedi dentro la grande macchina industriale e sono: Woody Allen, Sorrentino, Lynch, Lars Von Trier e Tim Burton. Quando vedi un loro film, pur non sapendo di chi è, si può dire: questo è di Lynch! Le Major cinematografiche hannno deciso di puntare su storieemozionali, d’azioni o di forte impatto visivo che eliminano (esluse dell’eccezioni) tematiche filosofiche. Si punta di più al Business che non sulla qualità. Gli autori stanno lentamente terminando nell’indipendente, si autoproducono da soli e non hanno in tal modo restrizioni dettate dal business. Molti di questi indie sono perfino ben fatti tecnicamente con riprese migliori di tante opere industriali. Però, hanno il problema dell’esportazione nel mondo oltre che all’interno della nazione d’origine. Come si possono conoscere? Solo tramite internet grazie a delle persone che si impegnano alla loro diffusione in rete e nella loro traduzione. Grazie solo a loro alcuni buoni prodotto d’autore vengono scoperti ( tanto per citarne uno diciamo Mr Nobody)
Un regista indipendente se è veramente in gamba prima o poi riuscirà ad entrare nel giro che conta o ad ottenere la fama che gli aspetta, ritengo che potrà accadere a Sergio Caballero realizzatore di Finisterae e ora di “La Distancia”.
Lui ha un suo stile molto particolare riscontrabile in tutte e due le pellicole come l’uso di poche parole, di una buona dose di ironia, la predilezione di personaggi assurdi, utilizzare ambientazioni scabre e grigie che sanno molto di degrado e usa una narrazione lenta e delicata con trame in sé scarne ma che racchiudono un pensiero filosofico e spirituale, ovvero un idea sul mondo. Non è un artista indistinguibile dalla massa! La Distancia non è un film per tutti i gusti, per alcuni sarà bellissimo per altri una brutta stupidata. Anche io non sono rimasto pienamente soddisfatto, dopo aver visto il suo lavoro precedente mi aspettavo qualcosa in più mentre in alcuni frangenti mi dicevo, fra me e me, << Quando finisce questa roba>>. Non è lungo ( solo 1h e 16 minuti) ma il montaggio è troppo lento e si sente la mancanza della musica, che è presente solo attraverso dei rumori di sottofondo. Poi destabilizza un po’ il fatto che mai i personaggi aprono la bocca ma parlano comunicando telepaticamente. Caballero conduce con delicatezza il suo piccolo pubblico dentro il mondo strampalato che
lui ha dentro la sua testa. Bizzarro è il fatto che lo stesso regista ha ammesso di essere andato a riprendere, ovvero sul campo d’azione, senza possedere un testo ma un idea frastagliata e che la vicenda ha preso vita solo nella sua sala montaggio e che tante scene sono state eliminate ( nel primo trailer compaiono molte scene non presenti nel film) Un artista con la faccia dipinta d’argilla si ritrova rinchiuso in una stanza per ben quattro anni passando il suo tempo a fare calcoli complessi su una immensa lavagna intorno a tutti i muri. Scrive tre lettere e le invia a tre nani con poteri soprannaturali ( uno ascolta da lontano, uno sposta gli oggetti e l’altro può sapere informazioni sulle persone) di riunirsi in un luogo per parlare con lui. L’artista ordinerà ai tre ladruncoli di rubare per lui la “Distancia” che viene tenuta protetta da un custode e che è situata in quella stessa centrale termica, dove lui si trova. La banda in sei giorni dovrà progettare il piano e rubare l’oggetto misterioso.Per tutta la durata del lungometraggio mi sono chiesto: << Che cos’è questa Distancia?>> Sta in questo elemento tutto l’interesse del film, che provoca tutta la nostra curiosità. Più passano i secondi e più viene in noi l’attesa per scoprire realmente cosa sia questo oggetto così prezioso. Solo alla fine lo vedremo e
alla sua vista potremmo dare un significato all’intera storia. La storia non è di semplice comprensione tematica, ma è strutturato in modo da avere più livelli di significato il cui primo gradino è semplicemente comprendere la trama mentre gli altri riguardano il senso più intimo del tutto. Sinceramente penso che ognuno di noi può vedere e provare qualcosa di diverso nel guardare il film, ognuno gli darà una sua interpretazione. ( Attenzione spoiler). I personaggi non sono immersi nel nostro mondo e neppure nel nostro tempo, sono imprigionati ( come lo siamo noi) in un’altra dimensione spazio – temporale del pianeta Terra, in un mondo solitario, crudele e triste. I Nani fanno un buco nella parete, attraverso una strumentazione assurda, ed entrano in una stanza invasa da mille rumori, di parole cinesi o giapponesi.Davanti a loro trovano un’ immensa voragine in cui si vede la vita, un mondo colorato pieno di persone che camminano nel centro di una cittadina. I tre ladri la ammirano; ci spostiamo sull’artista, che tenendo un coniglio morto in mano, proferisce le ultime parole dell’opera La voragine rappresenta la vera vita, un mondo fatto di persone in contatto e non un mondo immerso nella solitudine e nella semi – crudeltà. Loro ammirano con bellezza quello che non conoscono ritenendolo migliore di quello che hanno. L’artista, infelice in quella dimensione, vuole andarsene ritenendo che un mondo peggiore di questo non esisterà, ma sarà la verità? Oppure tutti noi pensiamo cosi?
S.D.G