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La distanza degli esopianeti non è un problema

Creato il 15 aprile 2015 da Media Inaf
Rappresentazione artistica della Via Lattea che mostra il punto in cui si trova uno degli esopianeti più lontani mai scoperti, a 13 mila anni luce dal Sistema solare. Crediti: NASA/JPL-Caltech

Rappresentazione artistica della Via Lattea che mostra il punto in cui si trova uno degli esopianeti più lontani mai scoperti, a 13 mila anni luce dalla Terra. Nella mappa il pianeta più lontano si trova nel centro della nostra galassia, a 25 mila anni luce di distanza. Crediti: NASA/JPL-Caltech

Utilizzando il telescopio spaziale della NASA Spitzer e il Warsaw Telescope presso il Las Campanas Observatory in Cile (nell’ambito del progetto Optical Gravitational Lensing Experiment o OGLE), un gruppo di astronomi ha scoperto e studiato uno dei pianeti più distanti nella nostra Via Lattea, un gigante gassoso a circa 13.000 anni luce dalla Terra, chiamato OGLE-2014-BLG-0124L.

L’esopianeta è stato scoperto utilizzando la tecnica del microlensing gravitazionale, con cui si ha la possibilità di guardare e studiare un oggetto lontanissimo grazie alla distorsione spazio-temporale che subisce la luce da esso prodotta quando incontra lungo la sua strada un’altra massa gravitazionale. In pratica gli astronomi studiano l’aumento di luminosità apparente quando una stella transita davanti o molto vicina a un’altra stella molto più distante. E così si ha proprio l’effetto lente d’ingrandimento in modo tale che oggetti praticamente invisibili vengano ingranditi. Se la stella in primo piano ha anche uno o più pianeti in orbita, questi vengono rilevati dalla “lente” gravitazionale.

La maggior parte degli esopianeti conosciuti, e sono migliaia, sono stati scoperti dal telescopio spaziale Kepler della NASA, che utilizza invece la tecnica del “transito” (il pianeta viene individuato quando passa davanti alla sua stella madre bloccandone momentaneamente la luce), così come anche altri telescopi a terra. Al folto team di cacciatori di pianeti si aggiunge appunto Spitzer, che dal suo unico punta di vista nello spazio può essere utilizzato per aiutare a risolvere il puzzle di come i pianeti sono distribuiti in tutto il nostro piano galattico. La domanda che si pongono gli astronomi è se sono concentrati nella zona centrale o se invece sono distribuiti uniformemente in tutta la sua periferia. «Non sappiamo se i pianeti si trovino più comunemente nel rigonfiamento centrale della nostra galassia nel disco della galassia e per questo le osservazioni sono così importanti», ha detto infatti Jennifer Yee dell’Harvard-Smithsonian Centro di Astrofisica a Cambridge.

L’esperimento OGLE analizza il cielo proprio con il metodo del microlensing e grazie alle interruzioni causate dal passaggio del pianeta è possibile studiarlo anche se si trova a decine di migliaia di chilometri lontano dalla Terra. Il nostro Sole è nella periferia della Via Lattea, a circa 26 mila anni luce (circa 246 miliardi di miliardi di chilometri) dal centro galattico e il denso agglomerato di polvere interstellare ci permette di vedere a occhio nudo solo circa 9.000 stelle dalla Terra. Per questo si ricorre spesso ad altre tecniche, come quella del microlensing con cui i ricercatori hanno già scoperto una trentina di pianeti nella Via Lattea, di cui il più lontano si trova a 25 mila anni luce di distanza.

La tecnica in questione integra anche i dati provenienti da altri strumenti a caccia di pianeti, come la già citata missione Kepler, con cui la NASA ha trovato più di 1.000 pianeti vicino a “casa nostra”. Gli astronomi evidenziano però un limite: questo metodo non sempre può dirci con precisione la distanza delle stelle e dei pianeti osservati. E’ vero che una stella in transito può amplificare la luce di una stella più lontana, ma raramente la si può osservare direttamente il che rende più impegnativo il compito di misurarne la distanza. E dei 30 pianeti scoperti finora, la metà non hanno ancora una posizione ben precisa nella mappa della Via Lattea: sappiamo che esistono, sappiamo più o meno dove si trovano, ma il punto preciso è ancora sconosciuto.

Questa infografica spiega come Spitzer può essere usato in tandem con i telescopi a terra per misurare la distanza degli esopianeti scoperti con la tecnica del microlensing. Crediti: NASA/JPL-Caltech

Questa infografica spiega come Spitzer può essere usato in tandem con i telescopi a terra per misurare la distanza degli esopianeti scoperti con la tecnica del microlensing. Crediti: NASA/JPL-Caltech

Ed è qui che entra in gioco Spitzer, grazie alla sua orbita che segue quella della Terra, ma da molto lontano. Anche Spitzer, ovviamente, orbita attorno al Sole ed è attualmente a circa 207 milioni di chilometri di distanza dalla Terra (vale a dire una distanza maggiore rispetto a quella Terra/Sole – circa 150 milioni di chilometri). Quando Spitzer osserva un oggetto o un evento in microlensing simultaneamente con un telescopio sulla Terra vede la stella illuminarsi in un momento diverso, a causa della grande distanza tra i due telescopi e a diversi punti di vista. Questo fenomeno è generalmente indicato come parallasse (cioè lo spostamento solo apparente di un oggetto rispetto allo spostamento reale dell’osservatore). Quando si osservano le stelle si deve tener conto di questo fenomeno, che è causato dal moto di rivoluzione della Terra da cui osserviamo le stelle: le stelle sono pressoché fisse, ed è la Terra che invece ruota “velocemente” attorno al Sole. Se si conosce l’angolo di parallasse si può dedurre la distanza di una stella con calcoli trigonometrici.

E Spitzer (lanciato nel 2003) è speciale perché è «il primo telescopio spaziale a effettuare misurazioni della parallasse in microlensing per studiare un pianeta», ha detto Yee. «Le tecniche di parallasse tradizionali che utilizzano i telescopi terrestri non sono efficaci per queste grandi distanze». I telescopi a terra inviano degli avvisi alla comunità astronomica all’inizio di un evento, che può però durante poco (circa 40 giorni). Il team di Spitzer, invece, ha iniziato l’osservazione in microlensing appena tre giorni dopo la ricezione dell’avviso. Nel caso del pianeta scoperto, la durata dell’evento di lente gravitazionale è stato insolitamente lungo, circa 150 giorni. Spitzer ha visto una variazione nell’ingrandimento gravitazionale circa 20 giorni prima di OGLE. E per misurare la distanza precisa del pianeta gli astronomi si sono basati sul tempo che intercorso con le osservazioni da terra, il che ha permesso anche di calcolarne la massa (cioè metà di quella di Giove).

Finora la collaborazione tra Spitzer, OGLE e altre facility a terra ha portato all’osservazione di 22 eventi in microlensing ed entro questa estate si arriverà a 120 osservazioni. Sebastiano Calchi Novati, un Visiting Sagan Fellow presso l’Exoplanet Science Institute al California Institute of Technology della NASA, ha detto: «Abbiamo esplorato la maggior parte del nostro vicinato, ma ora possiamo usare queste singole lenti gravitazionali per fare statistiche su pianeti nel loro complesso e per conoscere la loro distribuzione nella galassia».

Per saperne di più:

Vai al sito della missione Spitzer della NASA

Fonte: Media INAF | Scritto da Eleonora Ferroni


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