La dittatura dell'inverno / Valeria Ancione. Milano: Mondadori, 2015.
Avevo comprato questo libro dopo aver letto un articolo online ed essermi incuriosita. Poi - quando il libro mi è arrivato - mi sono accorta, cercando un po' di notizie in rete, che forse mi ero presa una fregatura.
Ho letto stroncature senza appello, recensioni ai limiti del sarcastico nei confronti della scrittrice e qualunque altro tipo di variante sul medesimo genere. Ero dunque preparata al peggio.
In realtà, alla fine della lettura di questo romanzo e dopo averci pensato un po', anche se non posso certamente dire di aver letto un capolavoro, ho capito qual è il difetto principale del libro: Valeria Ancione ha voluto strafare e dunque la storia risente di una - a tratti insopportabile - sovrabbondanza narrativa.
Cinque figli sono decisamente troppi per rendere credibile la vita di questa donna, un marito a questi livelli di pazienza è irreale, buttarsi nelle braccia di due uomini inutili e mai chiamati per nome (il Professore e il Direttore) per riempire un vuoto appare un po' eccessivo, pur senza alcuna valutazione moralistica, e poi le lettere all'amico e psicologo Alessandro sono un po' appiccicate lì come un espediente narrativo non proprio riuscito.
Anche la scrittura non è certo di alto profilo; frasi brevi e un po' concitate, qualche dialogo un po' sopra le righe, qualche descrizione un po' scolastica, qualche frase un po' da bacio perugina.
E allora, mi direte, perché leggere questo libro?
Perché secondo me riesce a esprimere molto bene la confusione di sentimenti, l'esaltazione che l'amore produce, il dolore della separazione, la forza di un legame che può sconvolgere una persona a metà della sua vita, costringendola a fare i conti con tutto quello che ha già costruito e tutti gli affetti in cui ha investito tanta della propria esistenza.
E sinceramente la derisione e il giudizio moralistico contenuto in alcune recensioni che ho letto mi sono sembrati l'espressione più tipica di chi crede che sia possibile incasellare i sentimenti e governarli in modo sempre razionale; invece credo che, una volta messo da parte il nostro snobismo, è difficile negare di aver scritto o letto o provato alcune delle sensazioni e dei sentimenti romantici che la storia di Nina, divisa tra suo marito e la giovane Eva, ci racconta.
Ok, magari qualcuno lo definirà un grosso Harmony del terzo millennio (e - aggiungerò - con scene erotiche molto meno interessanti ;-))) ), ma io a tratti ne sono stata conquistata. Ma si sa, io sono un'intellettuale solo molto per finta.
Voto: 2,5/5