Ci mancava solo Armani.
Dopo Dolce&Voltagabbana e i bambini sintetici, Platinette e i matrimoni inutili, anche Re Giorgio, in un momento di evidente disagio personale, ha deciso di usare la stampa per fare uno scivolone internazionale in doppio salto carpiato.
Il fatto vi sarà noto, ormai, cari lettori omosessualizzati: Giorgio il Canuto, sarto magistrale e guru del fashionbiz, invita i gay a “non vestirsi da gay”. E lo fa con una naturalezza, una convinzione, una spontaneità così disarmante da coltivare il dubbio della demenza senile o di un disperato bisogno di attenzione mediatica.
Caro Arma (ci chiamiamo così tra amici vips), che cosa ti è successo, tesoro? Quale strana sindrome ti fa dimenticare le trasparenze di organza che hai proposto ad ogni passerella, indossate, tra l’altro, da quei maschioni ipertrofici e depilati che immagino tu abbia scelto personalmente?
E come sei poco aggiornato, perbacco. Mi stupisce che un uomo di cotanta cultura non conosca il fenomeno del metro-sessualità, lo stile che, col tempo, ha sbavato i confini di genere dell’abbigliamento, regalandoci donne e uomini che giocano nel limbo ibrido dell’androginia.
E poi, Giorgio amore, sentimi un po’: quale sarebbe la divisa da omosessuale? Quale capo descriverebbe l’orientamento di un cliente? I centimetri di scollatura? L’aderenza del tessuto alla prominenza erotica del pacco? Il risvoltino alla caviglia? Il contrasto tra cuciture e cromia del cotone? Inoltre, anche ci fosse un’improbabile divisa omosessuale, anche esistesse un abbinamento di capi che dichiarasse palesemente se ci piace la fagiana o il tubero odoroso, perché un uomo non dovrebbe indossarlo?
Dov’è finita, nella tua fervida fantasia, l’autodeterminazione? Il diritto/dovere di poter esprimersi per quel che si è, ebbene sì anche con l’abbigliamento?
Giorgio, stella mia, mi punge vaghezza che tu faccia parte di quei gay anziani, cresciuti in un tempo ostile, morbosamente invidiosi della libertà di questo nuovo millennio, di chi, senza remore, si propone al mondo con meravigliosa, liberatoria, insindacabile sfacciataggine. Tu non hai potuto, lo hai malcelato; se non fosse per qualche paparazzata con un giovane vichingo abbronzato che ti aiuta a nuotare, forse qualche sciura di Brera crederebbe ancora che tu sia una tigre del ribaltabile con ogni donzella della MilanoDaBere.
Ma non preoccuparti Gio, rasserenati.
Hai l’età giusta per far pace con la tua identità e, soprattutto, con quella altrui. Identità che fa rima con libertà: quella di indossare la t-shirt che più ci garba, senza pensare che sia un’etichetta ma solo uno straccio di poliestere, magari prodotto di Turkmenistan. Sul quale tu, giustamente, lucri. E apprezzeremmo lo facessi in silenzio.