Fossimo ancora nel 1447, il re Alfonso I d’Aragona avrebbe assunto in blocco tutto lo staff delCustomer Care di Eni Gas & Power, per farlo lavorare nella sua Dogana delle Pecore [1], strumento vessatorio per cavare sangue e balzelli dalla transumanza degli armenti. E da pecoroni, evidentemente, Eni Gas & Power tratta i suoi ex clienti, perché da loro pretende gabelle non dovute, li perseguita con un crescendo di lettere minatorie, minacciandoli di trascinarli davanti al Tribunale della Dogana ed esporli semmai alla gogna. Il reato contestato? Essere passati ad altro gestore, il che la dice lunga sullo stato delle liberalizzazioni in Italia. Insomma, adda venì Giuseppe Bonaparte! [2] II mio è un racconto di vita vissuta e provo a farla breve.
Alla fine del 2010 il sottoscritto, cliente insoddisfatto di Eni Gas & Power, decide di farsi fornire gas ed energia elettrica da altro gestore. C’è scarsa efficienza e trasparenza nelle bollette, che arrivano senza regolarità, semmai dopo mesi e mesi. Conguagli su conguagli, tutte somme ingenti. Protesto ma non accade nulla. Pago e invio disdetta.
Dalla primavera ho un nuovo fornitore, che si comporta con regolarità svizzera. Eni Gas & Power fa finta di niente. Continua a spedirmi bollette per energia che pago ad altri. Telefono, scrivo, mando fax (la mail non ce l’hanno, di Posta Elettronica Certificata neanche a parlarne). Al telefono (call center 800 900 700) mi rispondono che si tratta di un disguido, che ho ragione da vendere, che non devo preoccuparmi e che presto tutto sarà chiarito.
Molto trendy il pacchetto web. Peccato che usino solo il vetusto fax, non conoscano la Posta Elettronica Certificata e neanche la semplice mail...
Col cavolo. Eni Gas & Power reitera, bolletta dopo bolletta. Dovrei pagare la fornitura anche a loro, oltre che al mio gestore. Le lettere si fanno sempre più minacciose. L’ultima, datata 1 dicembre, ha per oggetto “Diffida legale per insolvenza”. Scrivono che se non pago mi tagliano luce e gas. Ma come! Non sono mica loro che mi forniscono l’energia! Mi fa pensare agli stalker, che tormentano le loro vittime.
La diffida è un venticello...
Richiamo il call center. Mi tranquillizzano ancora. Dicono che “il sistema” informatico non ha ancora recepito la variazione, di ignorare anche questa diffida. E chi lo gestisce, il “sistema”? Hanno il pallottoliere? Un vecchio IBM post bellico con i fosfori verdi? E pensare che gli spot pubblicitari in tivù raccontano un’azienda tutta telematica, che ha messo da parte timbri e bolli e permette di fare tutto online…
Non demordo. Passo allo scanner il dossier e lo spedisco allo Sportello per il Consumatore di Energia istituito dall’Autorità per l’Energia e il Gas, che dovrebbe fare da ombudsman: “dare informazioni, assistenza e tutela ai clienti finali di energia elettrica e gas, mettendo a disposizione un canale di comunicazione diretto, in grado di assicurare una tempestiva risposta a reclami, istanze e segnalazioni”.
Stay tuned.
La Dogana delle Pecore è dura a morire. Per difendersi si deve smettere di belare.
[1] La data convenzionale di istituzione della Dogana delle pecore di Foggia è il 1° agosto 1447, giorno in cui Alfonso I d’Aragona affidò al catalano Francesco Montluber l’incarico di organizzare la transumanza nel Regno di Napoli. Questo organismo aveva il compito di gestire la transumanza delle pecore (ma anche di altri animali) dalle montagne abruzzesi e molisane alle terre piane pugliesi realizzando una delle principali entrate per il fisco napoletano. Ricadevano nella sua giurisdizione cinque delle attuali regioni amministrative. Caratteristica preminente della Dogana era quella che, a fronte di un corrispettivo, detto fida, che i proprietari di animali pagavano in rapporto al numero dei capi condotti al pascolo, l’organismo statale assicurava erbaggi sufficienti, percorsi ampi e sicuri ed una certa quantià di sale; ai proprietari di animali ed al personale addetto al bestiame garantiva protezione armata lungo i tratturi, panetterie diffuse in tutto il Tavoliere, con prezzo del pane calmierato, chiese e taverne di campagna e, cosa molto importante, la possibilità di poter ricorrere al tribunale della dogana per le questioni di giustizia, anche private. La sede amministrativa della Dogana si trovava a Foggia (tranne per i primi anni in cui fu a Lucera), prima in uno stabile di Largo Pozzo Rotondo e successivamente, dopo il terremoto del 1731, nell’edificio di Piazza XX Settembre, ancora oggi denominato Palazzo Dogana (sede dell’amministrazione provinciale). A capo della Dogana vi era il doganiere, denominato anche governatore o presidente (perchè spesso i doganieri ricoprivano anche alte cariche nella capitale e, quindi, venivano chiamati con il titolo più importante). Ufficiali importanti erano l’uditore, che era giudice nelle controversie che non riguardavano interessi dello Stato e il credenziere, che tutelava gli interessi erariali e presiedeva all’assegnazione dei pascoli e vigilava sulla riscossione della fida. Il doganiere, l’uditore ed il credenziere costituivano il Tribunale della Dogana, cioè quell’organismo di giustizia che era riservato a tutti gli operatori della transumanza (proprietari di animali, pastori ed addetti alle greggi, commercianti di lana o di caci, ecc) Altri funzionari importanti erano il libro maggiore che formava i registri di riscossione della fida ed annotava su di essi l’eventuale debito residuo dei locati, il cassiere o percettore che provvedeva alla materiale riscossione della fida ed il mastrodatti che curava la redazione delle scritture più importanti ed aveva il compito di custodire l’archivio doganale. Naturalmente l’organico degli Uffici della dogana era formato anche da vari scrivani e da altri subalterni…
http://amaraterra.blogspot.com/2010/06/la-dogana-delle-pecore-di-foggia-come.html
[2] Le leggi eversive della feudalità, dette anche “di eversione della feudalità”, sono state dei provvedimenti legislativi, attuati tra il 1806 e il 1808, con i quali Giuseppe Bonaparte, re di Napoli[1] e fratello di Napoleone, abolì la feudalità nel Regno di Napoli. Estensore delle leggi fu il Ministro della Giustizia dell’epoca, il marchese Michelangelo Cianciulli. Il Regno di Napoli ebbe un fiorire delle istituzioni feudali propriamente dette molto più tardi rispetto all’Italia settentrionale, ma, forse proprio per questo, quegli istituti continuarono a sussistere per molti più secoli.
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