Nato 56 anni fa in una famiglia contadina del Valdarno, Sacchetti fu abbandonato tra gli orfani allo Spedale degli Innocenti a Firenze: la madre era ricoverata per tubercolosi e il padre non poteva occuparsi di lui. Tra un secchio di crema e una bagna di Alkermes, nel suo laboratorio, si racconta a FQ Magazine. “Successe una cosa che, nella sfortuna, fu la mia fortuna. Mia zia perse un figlio, schiacciato dalla mietibatti. Per farle superare il lutto le dissero: “Andiamo a riprendere Paolo”. E a 9 mesi tornai al podere di famiglia. Sennò sarei rimasto lì. Tra tanti N.N., ero l’unico con un nome e un cognome”. Quel nome e quel cognome che oggi porta fieramente, ricamati in oro all’altezza del cuore, sulla divisa dello stesso colore dei capelli, bianco latte. Fu al podere che, guidato da zia Ida, Paolo imparò a impastare e infornare prima ancora di saper leggere e scrivere. “E quando seppi leggere, aspettavo che uscisse Tv Sorrisi e Canzoni per provare, alla domenica, una nuova ricetta con lei”. “Mio figlio? Non lo voglio a lavorare con me”
Già a 13 anni Paolo aspettava l’estate per darsi da fare come pasticcere. “Ero e sono molto goloso. Da ragazzo mangiavo 25 paste al giorno. Ora, a forza di assaggi, arrivo a 5 pezzi. Come faccio a tenermi in forma? Lavoro tanto”. Fortuna che la moglie, Edi, è accanto a lui in pasticceria. “Se non facessimo lo stesso lavoro, sarebbe molto più difficile, non ci vedremmo mai”. Il mondo dei pasticceri sentirà parlare a lungo dei Sacchetti: anche il figlio di Paolo ed Edi, Andrea, 19 anni, ha preso la stessa strada. Ma il padre non lo vuole con sé. “Secondo me è bene che un genitore non insegni al proprio figlio all’inizio, sennò potrebbe prendere delle abitudini non giuste. E’ meglio che vada a fare il dipendente, ad apprendere da un altro. Ho la fortuna di farlo imparare da Iginio Massari, il maestro dei maestri. E’ un amico, me l’ha preso lui”. La pasticceria è un lavoro da uomini? “No, la migliore allieva che ho avuto era una donna, ogni giorno faceva un’ora di viaggio per venire a lavorare qui. Oggi ha un locale tutto suo” risponde Sacchetti. Con 8 dipendenti e un fatturato da 600mila euro l’anno, il vice presidente dell’Accademia dei Maestri Pasticceri Italiani ha ancora molto da imparare. “Non bisogna mai smettere di studiare e conoscere la storia. A casa ho 2000 libri di pasticceria, alcuni dell’Ottocento. Nella pasticceria italiana abbiamo delle tipicità che gli altri se le sognano. Bisogna imparare ad attualizzarle”. Alla fine della nostra intervista, il maestro riceve una telefonata. “Era un’importante azienda di cioccolato. Vogliono che mi occupi dei dolci per una cena a Expo”. Non è stanco di questi ritmi frenetici? “Non mi stancherò mai dei dolci (ride). Le cose buone non possono venire a noia”. I 3 consigli di Paolo Sacchetti
“Prima di tutto – raccomanda Sacchetti – la stagionalità: non dimenticate mai di seguirla, anche in pasticceria. Non chiedete le arance d’estate o le fragole d’inverno. Secondo, e non dovrei dirlo perché non ci guadagna nessuno: le mie pesche vanno accompagnate con un bel bicchier d’acqua. L’alchermes della ricetta è un liquore “ignorante”, non ci abbinerei vino o spumante. Terzo: se ci tenete a fare bella figura con un dolce per un’occasione speciale, non rifatevi all’ultimo, ma chiedete per tempo consiglio al pasticcere. Solo così non rimarrete delusi”. Per acquistare: www.foodscovery.com The post La dolce storia del Nuovo Mondo: cremini e sfornate di pesche lì dove osano i golosi appeared first on Il Fatto Quotidiano.