Dal volume "Da Pericle a Papadimos, Capitolo III "La dominazione ottomana". Un periodo oscuro della storia del paese del quale poco è dato sapere per la pressochè completa mancanza di documentazione, fatto salva quella amministrativa turca, che ci illustri le condizioni della popolazione greca. Nel contempo, un periodo importante perchè forgerà il carattere del popolo della Grecia indipendente.
E’ un evento questo che segnerà profondamente il cammino della Grecia, non tanto per la sua intrinseca importanza dovuta alla durata ed ai modi, tutt’altro che improntati ad una assimilazione nel dialogo come per molti aspetti lo era stata la pax romana, quanto per il fatto che quella che ci restituirà sarà la base sulla quale la Grecia odierna affonda le proprie radici, le fondamenta del suo carattere odierno, del suo attaccamento alla tradizione che tanto fu importante in quei secoli, della sua capacità di soffrire e, nel contempo, di quel lato oscuro che è rifiuto istintivo degli obblighi e delle leggi, che è capacità di arrangiarsi seguendo una legge naturale e personale di sopravvivenza, che è istinto tribale quando dall’esterno viene minacciata ma che diventa poi al proprio interno precario equilibrio tra gruppi chiusi, intoccabili e da difendersi, quelli sì, fino all’estremo: la famiglia su tutti. Ed è proprio da questa sua capacità che istintiva anche che ha trovato la forza di reggere l’urto, disperdendosi in piccole comunità che così meglio riuscivano a sfuggire alle imposizione dell’invasore ma che, nel contempo, hanno radicato un clima di fiducia a corto raggio tale per cui è difficile trovare uno spirito comune degno di uno stato e di una società che compartecipa ad un cammino comune. A questo status che caratterizzerà la vita di gran parte dei residenti, si aggiungono le due categorie sociali che hanno costituito invece il filo conduttore di una speranza politica e sociale capace, di tenere alto, ciascuna a suo modo ed assolvendo uno specifico ruolo, il sogno della libertà e dell’identità. La Chiesa ortodossa ed i protagonisti della diaspora. La Chiesa ortodossa, per quanto il suo reale peso ed intervento in quel periodo sia molto discusso ed in gran parte frutto di leggenda, tuttavia, in virtù della moderata libertà di culto che gli Ottomani le lasciarono, servì da cuscinetto in molti casi tra la popolazione e l’invasore. Inoltre, anche se non sistematicamente, svolse una opera di conservazione delle tradizioni e della cultura attraverso la tutela e l’occultamento di numerosi testi sacri e non. Certo non quelli che contrastavano con il credo di cui erano latori, tuttavia, se oggi molti documenti sono arrivati a noi lo si deve certamente a quanto, specie nei monasteri più sperduti come ad esempio alle Meteore, venne occultato o ricopiato (in ciò fungendo tuttavia anche da elemento conservatore che impediva pertanto l’accoglimento di istanze rinascimentali, al tempo progressiste, che provenivano in specie dalle isole ioniche dove Venezia era padrona e veicolo di novità). Nello stesso tempo molti affidarono ai monasteri i propri piccoli e grandi tesori che in molti casi, causa le vicende storiche, sono rimasti di proprietà ecclesiastica. Molte furono poi anche le donazioni, fatte nella maggior parte dei casi per evitare che molte proprietà finissero in mano ottomana. Indubbia fu comunque la grande opera di vicinanza e di conforto che senza dubbio la Chiesa svolse a favore di una popolazione che aveva perso ogni e qualsiasi riferimento, ogni guida e che pertanto trovava nel sacerdote, nel monaco e nel monastero la propria via politica e spirituale, il proprio rifugio, anche se spesso tutto si concretizzava in semplice forza per andare avanti. Quanto tutto ciò abbia realmente avuto peso nell’economia della sopravvivenza e della speranza dell’intera Grecia durante quei quattro secoli non è dato con certezza saperlo. La discussione è tutt’oggi aperta e la Chiesa ortodossa, come d’altronde la sua consorella di Roma fa in casi simili, mantiene per buona parte celati i propri segreti, dispensando raramente verità che possano in qualche maniera metterla in discussione. D’altronde, vista la situazione generale, quale che fosse, benedetto fu l’accordo che il Patriarca di Costantinopoli riuscì a fare con il governo Ottomano. Fu un accordo che ad esempio dette la possibilità al Patriarca di Costantinopoli di avocare a sé il primato anche sulla Chiesa ortodossa bulgara e serba, così come l’ottenimento di una relativa libertà ai suoi sacerdoti, nonché il mantenimento di buona parte delle proprietà; per contro, doveva aiutare il popolo a rassegnarsi a sottostare a leggi quale ad esempio la cessione di un figlio maschio che veniva reclutato nelle schiere dei giannizzeri o la cessione di figlie femmine che finivano per riempire gli harem di Costantinopoli. Una funzione controversa in fondo che permise tuttavia alla Chiesa di divenire, anche per scarsità di offerta, punto di riferimento per tantissime comunità. Fra le tante controverse questioni vi è quella inoltre della “κρυφό σχολειό, scuola segreta”, ovvero di presunte lezioni che clandestinamente si sarebbero tenute nei monasteri ai ragazzi per tramandare sia la lingua greca che la fede ortodossa, assolvendo dunque, se fosse vero, ad un preciso ruolo attivo di mantenimento dell’identità. Ahimé, la maggior parte degli storici, in assenza di testimonianze probanti, relegano questa eventualità al grande mito della resistenza ed all’immaginario collettivo della popolazione. D’altronde, se fosse realmente stato vero, la Chiesa stessa avrebbe avuto tutto l’interesse a portare prove su prove. Pare che tutto ciò invece fosse da riferirsi ad episodi sporadici, dovuti più all’intraprendenza del singolo sacerdote. In buona sostanza la Chiesa rimase, seppur dietro i limiti di un accordo con gli Ottomani che comunque fu probabilmente propedeutico non solo al mantenimento del proprio status ma anche al suo accrescimento (vedi l’annessione di altre chiese autocefale), l’unico anello di congiunzione culturale e storica tra l’Impero bizantino e quella che sarà la Grecia indipendente. A questa seppur discutibile presenza interna va a sommarsi il grande e preponderante peso della diaspora. Tutti coloro che per scelta, per costrizione o per fortuna poterono riparare all’estero facendo nascere o alimentando a dismisura le comunità greche già esistenti, svolsero non solo il ruolo di patrioti diffondendo le ragioni della causa ellenica, cercando alleanze e fondi per iniziare la lotta ma, soprattutto nei primi due secoli, quando ancora erano lontane le condizioni di una lotta per l’indipendenza a causa dello strapotere Ottomano in Europa (erano arrivati a minacciare Vienna occorre ricordarlo), assolsero al compito di alimentare quello scambio culturale che permise alla civiltà bizantina di confrontarsi con quella crescita che il rinascimento offriva in una Europa occidentale, al tempo fucina di lettere, scienze e filosofie. Non a caso i nomi di greci che culturalmente si rivelarono di levatura internazionale in quei quattro secoli, sono tutti nomi di espatriati, a testimonianza ulteriore di come la pressione esercitata dagli Ottomani fosse molto severa (uno su tutti il pittore El Greco, nativo di Creta ma divenuto poi un grande in Spagna dove potette rifugiarsi perché nella metà del 1500 Creta era ancora in mano Veneziana). Solo pochi territori dell’attuale Grecia in parte scamparono a questa dura censura; le isole dello Ionio che erano sotto il controllo della Serenissima Repubblica di Venezia e parzialmente l’isola di Creta che subì una storia tutta traslata nei tempi, rispetto sia alle altre isole che alla parte continentale del paese, venendo conquistata più tardi ma, per contro, venendo anche liberata ed annessa alla nuova Grecia cinquanta anni dopo, circa, dall’avvenuta indipendenza. Un ruolo a parte lo svolsero i fanarioti di Costantinopoli, ovvero i commercianti greci, residenti nel quartiere del Fanar (da cui il loro appellativo) che, spesso cedendo alla conversione all’islam, spesso dietro il pagamento di salate “bustarellle”, erano riusciti a mantenere una seppur limitata autonomia ed a far proseguire la propria attività commerciale. Facenti capo per la maggior parte ad una cinquantina di famiglie greche, gli stessi, con il passare del tempo, non solo riuscirono ad entrare nell’amministrazione ottomana ma vennero anche nominati governatori di province lontane, come ad esempio nei Balcani. Tale potere fu poi esercitato nei modi più disparati e personali. Non vi era dietro un preciso disegno che li possa, nell’insieme, presentare alla storia come fedeli patrioti, pur tuttavia non mancarono personaggi illuminati che contribuirono a render meno pesante la vita delle popolazioni e, specie nell’ultimo secolo di dominazione, rampolli che sposarono la causa indipendentista quali ad esempio i fratelli Alexandros e Dimitros Ypsilantis, ove il primo fu principe di Moldavia e Valacchia e poi eroe dell’indipendenza oltre che capo della “Filiki Etairia”, la principale delle associazioni di indipendentisti ed il secondo militare e diplomatico nelle file Russe e poi politico della prima ora. In conclusione su questi tre differenti versanti venne organizzata e costruita, da parte greca, la base per ingaggiare la lotta per l’indipendenza. La restante popolazione era in patria ahimé dedita a sopravvivere e si era ulteriormente divisa, per ovvia necessità di autodifesa, in bande, clan, quasi tornando ad una forma sociale di tipo tribale che aveva spesso nel brigantaggio e comunque nel sabotaggio, una delle sue principali attività. Per il restante tempo prevalevano attività rurali e di pesca specie nelle isole. Serviva pertanto un forte intervento straniero che grazie all’opera delle numerose organizzazioni che erano nate nei paesi esteri e complici le non più auguste fortune della Sublime Porta (così infatti veniva chiamato il governo dell’impero ottomano), si crearono le condizioni economiche e militari, alle soglie del 1821, per tentare la lunga guerra per l’indipendenza.
Oggi, a soli due secoli dall'indipendenza, si ritrovano certi caretteri nella società greca, compatta nel mostrare una omogenea identità nei confronti dell'esterno, così come fragile nella sua organizzazione interna, frammentaria, sempre malfidata nei confronti dei governi, ancorché autonomamente eletti, imperniata sulla solidità della famiglia quale rifugio incrollabile. Tutto ciò è stato elemento coadiuvante gli eventi di questi ultimi anni, che hanno potuto realizzarsi e proliferare non solo per i dati terribili della situazione economica, ma anche per quella incapacità di aggregarsi, preferendo di volta in volta, mostrare le istanze separate delle varie corporazioni o classi sociali, ma non riuscendo a ritrovare quel senso di stato sociale che, forse, quanto meno le avrebbe abbreviato l'agonia ed avrebbe conservato un'oncia di dignità. L'indipendenza, giunta come una grande ubriacatura per un senso di libertà ai più sconosciuto l'ha consegnata nelle mani dell'Europa, dalle quali probabilmente, ha sempre dipeso.