Magazine Cultura
di Gabriele Ainis
La polemica sollevata dalla possibile suddivisione delle statue di Mont’è Prama ha riproposto, tra l’altro, il tema della conservazione e condivisione dell’eredità del nostro passato. Che poi le si voglia intendere come espressione identitaria di sardità è tutto da discutere (si tratterebbe anche di definirla, questa sardità), ma il fatto che debbano essere salvaguardate, studiate ed esposte secondo un disciplinare condiviso è cosa scontata.
Nonostante l’importanza riconosciuta del ritrovamento (in senso archeologico, prima di tutto, ma anche artistico, sebbene questo secondo aspetto appaia incredibilmente trascurato) la vicenda delle statue non è mai approdata nelle sedi istituzionali. Non ci sono state interrogazioni parlamentari, o regionali. Non ci sono pronunciamenti di politici (se non le corbellerie dei soliti indipendentisti che hanno l’abat-jour a forma di nuraghe sul comodino). Tuttavia se ne parla e se discute, si tiene viva l’attenzione, insomma.
Ma soprattutto, parole a parte, le statue sono state preservate, restaurate, insomma messe al sicuro, stanziando risorse dignitosamente sufficienti alla bisogna. Si discuterà all’infinito se rappresentino i sardi (chissà cosa sono, questi), se siano «di Cabras» o no, si lanceranno slogan di tutti i colori e sapori ma le statue non andranno perdute: il dato oggettivo è questo!
La tomba dipinta a domus de janas di Mandras – anch’essa un unicum, come le statue – al contrario, è finita in parlamento. C’è finita con due interrogazioni a firma di rappresentati del PDL e del PD. Si potrebbe dire un interesse bipartizan.
La tomba di Mandras è finita anche al consiglio provinciale, a Oristano, perché la politica si è accorta che non possiamo permetterci di rinunciare ad un altro pezzo del nostro paesaggio.
C’è finita perché attorno ad essa si è coagulato un piccolo movimento d’interesse scaturito dal territorio, dal Barigadu e ciò è accaduto grazie all’immensa testardaggine di Cinzia Loi, l’archeologa che si è laureata studiando il proprio territorio, vive intensamente un rapporto profondo con esso, lo difende in maniera propositiva ed ha creato un gruppo di lavoro formato da cittadini, volontari, che fanno del territorio un impegno comune e del paesaggio una parte importante della propria esistenza.
È questo gruppo che si è caricato la domus di Mandras sulla schiena e l’ha portata su Archeologia Viva, quindi in Parlamento ed infine in Provincia.
E il risultato?
Zero!
Mentre si litiga (dottamente, ma sempre litigio è) per la collocazione delle statue di Mont’e Prama (ma è anche corretto farlo, intendiamoci, è una problematica culturale profonda, che trascende gli aspetti localistici) non ci sono i quattrini per la messa in sicurezza di un reperto unico, Mandras, così, mentre la saggezza di archeologi, storici, politici e membri vari si spende in considerazioni che coinvolgono tutto lo scibile umano, in pochi si rendono conto che le statue sono state messe in salvo, mentre la tomba dipinta no!
Da cui potrebbe discendere una domanda, forse troppo semplice per gli intellettuali abituati a un lessico più raffinato: ma se un figlio sta morendo, abbiamo davvero il tempo di pensare alla laurea di un altro, o le priorità ci suggeriscono di accantonare per un momento la laurea pensando alla vita?
Sì, lo so che a volte mi identifico con la casalinga di Buddusò, che però è quella incaricata di mettere il pranzo in tavola quando il professor Dusciudeu, stanco dalle tenzoni culturali, ha bisogno di un piatto di ravioli di patata con la nipitella! Che sarebbe a dire, chi nutre il professore ed ha ben presente cosa siano le priorità!
Però le domus de janas non sono guerrieri, nessuno si taglia le palle se sono state scavate cento anni prima o trecento dopo, non ci sono torme di sedicenti appassionati capaci di passare le settimane tagliando l’aria a fette con un microtomo per rincorre l’ideale identitario che i sardi scolpissero prima degli altri, tagliassero il brodo con le forbici nuragiche prima degli altri e soprattutto che i perfidi archeologi nascondano le forbici nuragiche tutte le volte che le trovano, perché sono pagati da Roma.
In fondo, la tomba di Mandras è solo una questione di cultura, di paesaggio, di difesa della consapevolezza di vivere in un luogo che non è solo un letto, un lavoro (magari malpagato) e il sabato sera in pizzeria.
Per questo, si ringraziano sentitamente tutti i politici che hanno depositato interrogazioni e parlano di Mandras, ma spiegare per quali motivi non ci siano i fondi per metterla in sicurezza e preservarla non può bastare, per il semplice motivo che non serve!
Per questo Paleoworking, la Banda di Ardauli, continuerà ad agitarsi, perché Don Chisciotte, a volte, è anche capace di sconfiggere i mulini a vento.
Fonte: http://exxworks.wordpress.com (01.08.2012)
Immagini (dall'alto)di:
sardegnareporter.it
Cristiano Cani
sardegnacultura.it
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