Titolo originale: Vertigo
Genere: Drammatico, Thriller
Regia: Alfred Hitchcock
Cast: James Stewart, Kim Novak, Barbara Bel Geddes, Tom Helmore, Henry Jones, Raymond Bailey, Ellen Corby, Konstantin Shayne, Lee Patrick, Paul Bryar
128 min.
1958
Un primissimo piano mostra un mezzo volto femminile, poi le labbra, gli occhi ed infine la pupilla destra nella quale compare il titolo originale (Vertigo) seguìto da una spirale che va ingrandendosi: sin dai titoli di testa Hitchcock introduce uno dei temi dominanti del film, vale a dire la vertigine. Ed infatti già nella prima sequenza si intuisce che il protagonista è affetto da acrofobia, ossia soffre di vertigini. Il suo nome è John Ferguson (James Stewart) – Scottie per gli amici – un poliziotto che dopo aver assistito inerme alla morte di un collega decide di lasciare le forze dell’ordine. Un giorno viene incaricato da un vecchio amico di pedinare sua moglie Madeleine (Kim Novak), il cui anomalo comportamento fa temere il suicidio. Scottie sottopone la donna ad una stretta sorveglianza ed arriva persino a salvarla dall’annegamento, finendo poi per innamorarsi di lei – il suo sentimento viene ricambiato. Purtroppo non riesce – a causa della sua acrofobia – ad impedirle di gettarsi da un campanile, e tale tragico episodio gli provoca una profonda depressione, a cui consegue il suo ricovero in una clinica psichiatrica. Dopo la guarigione si imbatte per caso nella sosia di Madeleine, che dice di chiamarsi Judy; la somiglianza è assai accentuata, al punto da dare l’impressione che la suicida sia tornata dall’aldilà.
La trama si divide in due parti, scandite dalla sopracitata sequenza del campanile. Mentre nel romanzo la verità viene svelata soltanto nel finale, al contrario nel film il velo di mistero viene sollevato ai primordi della seconda metà, ossia subito dopo il suicidio di Madeleine: Hitchcock sacrifica il finale a sorpresa in favore della suspense. In questo modo, lo spettatore finisce subito col chiedersi «come reagirà James Stewart nell’apprendere l’inganno di cui è rimasto vittima?». Tale scelta registica si rivela oltremodo efficace, riuscendo con maestria a tenere desta l’attenzione dello spettatore.
La donna che visse due volte è la storia di un uomo disposto a tutto pur di ricongiungersi con la defunta donna amata, storia che riecheggia il mito di Orfeo ed Euridice. Secondo la mitologia classica, Euridice fu uccisa dal un morso di serpente mentre sfuggiva ad un corteggiatore. Suo marito Orfeo scese quindi negli inferi per ricondurla nel mondo dei vivi, e dopo varie vicissitudini giunse al cospetto di Ade e Persefone. Udite le soavi note suonate da Orfeo, la regina degli inferi gli concesse di riportare con sé la donna amata, ma ad una condizione: per tutta la durata del viaggio, Orfeo avrebbe dovuto precedere Euridice senza mai voltarsi. L’artista non riuscì però a mantenere la promessa e si assicurò che la donna fosse alle sue spalle, decretandone così la sparizione: Euridice morì per la seconda volta. Le analogie tra il mito ed il film di Hitchcock sono quindi palesi, pur sussistendo significative differenze (si pensi ad esempio allo stato d’animo dei protagonisti nei finali).
Nel film vengono messi in risalto due colori, entrambi con un preciso significato: il rosso e il verde. Il rosso richiama il sipario teatrale, e quindi la finzione e l’inganno; a questo proposito si pensi alla sequenza in cui Scottie vede per la prima volta Madeleine nel ristorante Ernie’s: il locale è interamente tappezzato di velluto rosso, a sottolineare l’inizio della messinscena. Sono inoltre di colore rosso anche le varie poltrone e l’accappatoio indossato da Madeleine dopo il salvataggio sulle sponde del Golden Gate (rosso anche quest’ultimo). Il verde invece è associato al confine tra la vita e la morte, il che è confermato da una frase pronunciata da Madeleine nel parco delle sequoie sempreverdi: «Non mi piacciono, perché so che devo morire». Inoltre, nella sequenza della trasformazione di Judy, la luce di un’insegna al neon verde dà l’idea di un ritorno dall’oltretomba, che suscita la profonda commozione di Scottie (e dello spettatore).
Da notare come nel finale di Nodo alla gola (Rope, 1948) la luce diffusa da un’insegna al neon cambi tonalità in continuazione, passando dal verde al rosso e viceversa: anche qui emergono le tematiche della menzogna (rosso) e della morte (verde).
Da un punto di vista narrativo, ciò che più stupisce è la presenza di alcune ellissi temporali, vale a dire l’omissione di alcuni frammenti del racconto, che sono lasciati all’immaginazione dello spettatore. In particolare, vi è un’ellissi che più di tutte spiazza il pubblico, suggerita dalla conversazione avvenuta nell’appartamento di Scottie tra l’ex poliziotto e Madeleine dopo il salvataggio nella baia di San Francisco: sebbene nulla ci venga mostrato, il protagonista deve aver spogliato ed asciugato la donna, per poi adagiarla nel letto.
In conclusione, La donna che visse due volte è un capolavoro denso di simbolismi e di tutto il meglio che il cinema può offrire. Si tratta di un’opera completa sotto ogni profilo, che non può non occupare un posto privilegiato nel cuore di ogni cinefilo.
★★★★★
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