Maestro sublime ed ineguagliato del manierismo, Agnolo di Cosino detto il Bronzino è celebre soprattutto per il ritratto di una donna che guarda caso è una donna reale, una sovrana. E così in concomitanza con la mostra che il fiorentino museo di Palazzo Strozzi dedica (fino al 23 gennaio) al grande pittore vi ripropongo, con qualche integrazione, la storia della bella Eleonora di Toledo.
Splendida, anzi sublime, ma fredda come il marmo e sinceramente detestata dai suoi sudditi che la considerano superba e distante. Religiosissima e sprofondata in preghiere dalla mattina alla sera, ma con il vizio del gioco d’azzardo e delle scommesse. Sposa felice, nonostante un matrimonio ovviamente combinato, però madre sventurata perché un destino tragico colpisce quasi tutti gli undici figli che mette al mondo. Eleonora di Toledo (1522-1562), la bellissima moglie spagnola del duca Cosimo I di Toscana, potrebbe essere una delle tante consorti regali della sua epoca se non fosse che, guarda caso, a Firenze vive e lavora il Bronzino, ritrattista fra i più grandi e sensibili del Rinascimento. E lui, in un celebre quadro oggi ovviamente agli Uffici, della duchessa ci mostra non solo l’innegabile fascino fisico, fatto di occhi azzurri in un viso dall’ovale perfetto, capelli biondi, personale slanciato, pelle bianchissima, grazia ed eleganza suprema, ma anche l’anima più profonda ed il carattere. Perché basta uno sguardo per capire che questa Eleonora Alvarez de Toledo, dall’alto di una notevole ed innegabile alterigia e di un supremo distacco, è pienamente consapevole della sua origine quasi regale (è la figlia del ricchissimo ed influente viceré spagnolo di Napoli) e che il suo matrimonio fiorentino, tutto sommato, non è stato un affarone. I Medici sono tornati da poco al potere e lui, Cosimo, lontano discendente per via materna del Magnifico Lorenzo, ha come padre un semplice capitano di ventura, il tragicamente famoso Giovanni dalle Bande Nere. Visto il rango ed il prestigio della famiglia di origine, la diciassettenne Eleonora ha diritto a nozze fastose, che si svolgono nella chiesa di San Lorenzo, e ad una celebrazione in pompa magna seguono da sfarzosi festeggiamenti. Cosimo, da poco impadronitosi del potere quindi ancora senza agganci politici e risorse economiche, beneficia non poco della posizione raggiunta col suo matrimonio anche perché di colpo si trova in possesso di un immenso patrimonio arrivato grazie alla dote. La coppia si trasferisce nel palazzo Medici di via Larga (oggi Palazzo Medici Ricciardi), ma ammodernato e ristrutturato in fretta e furia Palazzo Vecchio passa nello storico e ben più importante edificio. I due, uniti per ragioni politiche, presto scoprono di piacersi e si amano con grande intensità e trasporto. La duchessa è così legata al marito da sfiorare in alcuni casi la morbosità. Quando, a causa di un viaggio al quale non può prendere parte, Eleonora si dispera al punto per la lontananza da Cosimo, da piangere e strapparsi i capelli e, sempre, quando sono separati, lo scambio epistolare fra i due è particolarmente fitto. Il Duca di Firenze ricambia tanto amore con una fedeltà insolita per l’epoca, ma c’è da dire che Eleonora possiede il carattere giusto per stare al fianco di un uomo burrascoso ed introverso come Cosimo de’ Medici. Solo lei ha un qualche ascendente sul marito, del quale sa come mitigare i suoi continui sbalzi di umore.
Alla volontà ferrea ed ai soldi della duchessa spagnola i fiorentini devono alcune chiese, ma anche Palazzo Pitti e soprattutto il giardino di Boboli. E’ Eleonora, nella speranza che il cambiamento serva a preservare la salute dei suoi fragili bambini, a voler abbandonare l’ ‘insalubre’ Firenze per una dimora con un grande giardino arioso nella meno affollata Oltrarno. I fiorentini, poco abituati all’ostentata superbia della corte spagnola, non l’amano molto. Difficilmente la duchessa si mostra a piedi in città, preferisce infatti spostarsi a cavallo o meglio sigillata nella sua lettiga foderata di raso verde all’interno e ricoperta di velluto dello stesso colore fuori. Lì se ne sta, riferiscono i contemporanei, come “in un tabernacolo”, senza mai scostare le tendine per farsi guardare, sempre remota, inaccessibile e lontana. Come una vera sovrana evita di dare confidenza e di scendere al livello dei sudditi, ma dimostra la magnanima benevolenza nei confronti del suo popolo con abbondanti elemosine, con la creazione di doti per le fanciulle bisognose e con il sostegno al piccolo clero. Severamente e rigidamente religiosa come può esserlo una spagnola del ‘500, Eleonora indulge volentieri al gioco, alle scommesse (soprattutto quelle legate alle corse dei cavalli) ed ha una passione sconfinata per i gioielli, che ama indossare in quantità. La duchessa però ha anche stile e gusto innegabili e i suoi abiti, pur seguendo la sfarzosa e pesante moda dell’epoca si distinguono sempre per la squisita raffinatezza. Nell’ottobre 1562 Eleonora segue Cosimo in un viaggio verso la Maremma dove sono iniziati i lavori di bonifica, la duchessa soffre da tempo di emorragie polmonari (per non dire di tubercolosi) e i dottori le raccomandano di passare l’inverno nel mite clima della costa. Con lei partono tre dei suoi figli: Giovanni, Garzia e Ferdinando ma, durante una sosta nel castello di Rosignano, Giovanni e Garzia muoiono uno dopo l’altro colpiti dalle febbri malariche. Anche Eleonora si ammala e muore a Pisa un mese dopo e per non farla soffrire, dopo la struggente disperazione provata per la perdita di Giovanni, sul letto di morte le viene taciuta la morte di Garzia, avvenuta sei giorni prima della sua. Cosimo I, profondamente segnato dalle vicissitudini familiari, rimane al governo della città per due anni soltanto; nel 1564 lascia le redini del ducato al figlio Francesco e si ritira a vita privata.
Dal catalogo della mostra ecco un’analisi del dipinto.
Il Bronzino ritrae la nobile spagnola con cui Cosimo de’ Medici si era sposato nel 1539, Eleonora di Toledo (1522-1562), con il figlio Giovanni nell’estate del 1545 durante un soggiorno presso la villa medicea di Poggio a Caiano. A commissionarlo pare sia stata la stessa Eleonora. Dietro la duchessa, un vasto paesaggio che allude ai suoi domini ma il motivo centrale del dipinto è costituito dalla sua personale fertilità in quanto genetrix. Quando il Bronzino esegue il ritratto la donna era già madre di quattro figli, fertile latrice di eredi maschi destinati a perpetuare il principato di Cosimo. In piedi al suo fianco è Giovanni, nato nel 1543, i cui tratti sono riconoscibili, insieme ai ricci biondi, in un ritratto del Bronzino documentato all’aprile 1545.. La scelta di rappresentare il secondo figlio maschio piuttosto che l’erede al trono, Francesco, non è anomala quanto potrebbe apparire, poiché nei piani di Cosimo Giovanni aveva un ruolo importante nella continuazione del potere mediceo, tant’è che il Bronzino lo dipinge bambino con insolita frequenza. Omonimo del figlio del Magnifico, eletto papa nel 1513 con il nome di Leone X e tra i maggiori modelli di Cosimo, Giovanni era destinato nelle speranze del duca al soglio pontificio, dal quale avrebbe potuto perseguire l’obiettivo di unire Firenze e Roma sotto il governo mediceo. Giovanni riceve gli ordini sacerdotali nel 1550 e dieci anni dopo viene creato cardinale ma nel 1562 muore senza aver soddisfatto le aspirazioni paterne. In questo ritratto il Bronzino sottolinea soprattutto, con una infinita serie di dettagli (assenza del bracciolo, posa, impressione di stabilita, effetto di incombente vicinanza e inaccessibile monumentalità), il rango e la dignità di Eleonora ed il suo ruolo dinastico in quanto madre dei figli di Cosimo ed esempio per i sudditi. Un aspetto importante del ritratto del Bronzino considerato come immagine del potere è la concentrazione ossessiva sull’abbigliamento della duchessa, rigidamente imprigionata nel suo sontuoso abito, soggetto del dipinto tanto quanto la stessa Eleonora e che l’artista dipinge con la luminosità e tipica la finitura smaltata. Il tessuto dell’abito è praticamente uno spot sulla ripresa dell’industria fiorentina della seta, importante fonte di ricchezza per la città, promossa dal duca; su un fondo di raso bianco spiccano i grandi motivi di melagrana in broccato d’oro bouclé, uno dei quali è incastonato come un emblema al centro del corpetto. La melagrana allude alla fertilità, ma era anche un comune simbolo dell’unione coniugale nonché un emblema della Spagna, e più in particolare della consorte di Carlo V (l’imperatrice Isabella, scomparsa pochi anni prima), signore di Cosimo per diritto feudale. I frutti sono circondati da arabeschi di velluto nero, un motivo che richiama certe decorazioni della Spagna moresca; e nell’abbigliamento di Eleonora non mancano altri elementi spagnoleggianti: il corpetto dallo scollo quadrato, con la rete da spalle dorata e ornata di perle abbinata alla reticella che le raccoglie i capelli (la cosiddetta “cuffia” o “scuffia”), le maniche dai tagli che lasciano intravedere gli sbuffi di una camicia di seta bianca. In questo ritratto ufficiale la duchessa sfoggia gioielli assai elaborati, tra i quali si notano in particolare le sue perle preferite: gli orecchini a pendente, due grandi fili di perle – il più lungo era probabilmente un dono di nozze del duca, il secondo reca un pendente ornato da un diamante con taglio a tavola e una perla a goccia – e una spettacolare cinta d’oro adorna di pietre con una nappa di perline, forse realizzata su disegno di Cellini.
La mostra di Palazzo Strozzi è un evento irripetibile, unico, che vede riunite per la prima volta preziosissime opere su tavola, spesso di dimensioni imponenti, raramente prestate. Si tratta della prima esposizione interamente dedicata all’opera pittorica di Agnolo di Cosimo, detto il Bronzino (1503-1572), pittore fra i più grandi dell’arte italiana. L’esposizione è dedicata a un artista che incarna la pienezza della “maniera moderna” negli anni del governo di Cosimo I de’ Medici e rappresenta uno degli apici del Cinquecento: nelle sue opere è espressa tutta l’eleganza della corte medicea attraverso austera bellezza, “naturalità” e, allo stesso tempo, aristocratico e algido splendore. Firenze è luogo privilegiato per una mostra monografica su di lui, dato che agli Uffizi, negli altri musei e nelle chiese della città sono conservati molti suoi capolavori. La rassegna, che comprende più di novanta opere, si avvarrà inoltre di prestiti dai più importanti musei del mondo e potrà offrire al visitatore la possibilità di ammirare circa settanta dipinti dell’artista (che rappresentano l’ottanta per cento della sua intera produzione), più altri del Pontormo, suo maestro, col quale ebbe un sodalizio durato tutta la vita. Ai quadri del Bronzino, in cui spicca la plastica definizione delle forme, saranno poi affiancate sculture di maestri di pieno Cinquecento, come Benvenuto Cellini, il Tribolo, Baccio Bandinelli, Pierino da Vinci, che con lui ebbero rapporti amichevoli e scambiarono sonetti. Concluderanno la mostra alcuni dipinti di Alessandro Allori, che del Bronzino fu allievo prediletto. L’artista fu raffinato pittore di corte, ma anche poeta burlesco capace di alternare registri espressivi solo all’apparenza opposti: dal petrarchismo più aulico alle ironiche rime bernesche, come nel Piato dove descrive un viaggio immaginario e simbolico attraverso le viscere di un gigante. La mostra è divisa in sette sezioni tematiche che permettono di ragionare su aspetti dell’opera del Bronzino e nel contempo di seguirne in sequenza cronologica la vicenda, dalla formazione all’eredità lasciata. Saranno presentate tre opere inedite dell’artista, due delle quali, documentate da Giorgio Vasari, si credevano invece perdute: il Cristo crocifisso, dipinto per Bartolomeo Panciatichi, e il San Cosma, laterale destro che accompagnava la Pala di Besançon quando in origine si trovava a Palazzo Vecchio nella Cappella di Eleonora di Toledo.
ps in effetti in questo periodo ho proposto diverse repliche, me scuso, ma così vi risparmio i giri per l’archivio ; ) E poi diciamo che il momento è abbastanza congestionato, per cui la ricerca di materiale non riesce ad andare di pari passo con la scrittura anche perché parte del mio tempo viene spesa, purtroppo, per scrivere altro.