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Mi ricordo che avevo già letto questo grande romanzo di Fruttero e Lucentini qualche tempo fa, prima che avessi questo blog, e che mi aveva colpito e appassionato.
Rileggendolo, mi sono ricordata dei personaggi, delle situazioni, dell'incredibile ritratto che viene fatto di Torino. Ma non riuscivo assolutamente a ricordarmi chi fosse l'assassiono e perché.
E questo credo che sia un segno inequivocabile della bravura di questi due autori nello sviluppare la trama di questo giallo (oppure semplicemente sto invecchiando e la mia memoria inizia a vacillare). Una trama incredibile, che mischia personaggi e situazioni, che insinua il dubbio su tutto e su tutti e che alla fine, una volta svelato il mistero, ti fa pensare: "cavolo! non ci sarei mai arrivata".
La forza di questo romanzo a mio avviso più che nella trama sta nei personaggi. Ognuno incarna perfettamente un "tipo" che si poteva (e ancora in qualche modo si può oggi) trovare nella Torino degli anni '60: l'alta borghesia un po' snob, le madame ricche e ipocrite, i figli di papà che vivono di rendita, i parassiti fagnani che pesano sulle spalle di chi lavora, i giovani innamorati, gli invertiti di cui tutti conoscono l'esistenza ma di cui nessuno l'ammette. E i terroni, che hanno invaso il nord in cerca di fortuna e di lavoro e che proprio non riescono ad adattarsi alle usanze piemontesi.
Un grande ritratto della società e di Torino, forse protagonista indiscussa di tutta la storia. C'è il mercantino dell'usato Balon, ci sono le vie del centro invase da cinquecento e mini (la ZTL a quei tempi non esisteva), c'è la collina con le sue ville che ancora oggi rappresentano il posto più vip della città, ci sono i tristissimi e grigissimi corsi, tutti uguali e tutti brutti (oggi forse non è più proprio così, ma da frequentatrice di questa città, vi posso assicurare che certi corsi sono VERAMENTE brutti).
Senza Torino la storia non reggerebbe, o forse sì, ma non sarebbe per me così appassionante. Non riuscirei ad esempio a provare simpatia per il commissario Santamaria e il commissario De Palma, due "terroni" che non capiscono il piemontese e che si ritrovano ad indagare sul giallo che scoinvolge la Torino bene. Perché so come erano stati accolti a Torino gli emigranti del sud negli anni '60.
Se non ci fosse Torino sullo sfondo, non riuscirei a trovare così odiosi Anna Carla e Massimo, due amici appartenenti ai ceti elevati, molto snob e sicuri di sé e della loro influenza.
Non potrei capire le sorelle Tabusso e il loro inveire contro i vigili urbani che si ostinano a fargli multe e contro le prostitute che vanno ad esercitare nel loro vallone. Nè potrei provare tenerezza per Lello, giovane omosessuale in un'epoca e in un ambiente in cui esserlo e ammetterlo creava grossi problemi e grosse discriminazioni.
Un bellissimo giallo, che tiene con il fiato sospeso e con il dubbio fino alla fine. E soprattutto un bellissimo omaggio a una città che dicono essere fredda e grigia ma che io adoro tantissimo. Venite a Torino in un giorno di sole, passeggiate per via Roma, via Po e piazza Castello, salite in collina a gustarvi il panorama e difficilmente non rimarrete incantati.
Grandi Carlo Fruttero e Franco Lucentini per il piccolo capolavoro che sono riusciti a creare. Non deve essere per niente facile scrivere un romanzo a quattro mani, ma loro ci riescono egregiamente, creando un giallo che anche a distanza di quarant'anni dalla prima pubblicazione rimane sempre imprevedibile e sempre attuale.
Assolutamente da leggere!
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