Questa vecchia canzone (1994) scritta da Vecchioni proposta a Branduardi è una delle più belle canzoni d’amore scritte.
Per non parlare poi del fatto che si parla di una donna decisamente non giovane. E allora? Eccesso di testosterone? Niente affatto: Ci troviamo di fronte, appunto, ad una delle più belle canzoni d’amore mai scritte.
“Una tua ruga bella di stanchezza di più m’intriga della giovinezza…” Il fascino della donna vissuta, la donna che finalmente diventa compagna, colei che porta i segni delle vicissitudini, il suo bagaglio di esperienze: “Meglio la tuapelle, arata terra, di quella liscia di una giovincella…“.
C’è quasi un ammirato stupore nel descrivere la compagna, cui fascino la trasforma in oggetto di desiderio che siamo abituati a vedere solo nelle donne giovani e belle, si avverte desiderio e quindi passione: “ C’é nell’inverno tuo quel chel’estate non ha; caldo l’autunno tuo più dell’altrui primavera.”
Questo è un caso più unico che raro in cui finalmente si esalta una femminilità senza i soliti stereotipi, si esalta la personalità di chi ha qualcosa da dire ed insegnare prescindendo dalle apparenze:“ Vince la rosa che mi mostri intera su quella chiusa prima della sera”.
Geniale.
Oltrettutto l’abbinamento di un testo particolare alle immagini, altrettanto particolari, della “Sposa cadavere” di Tim Burton si esaltano vicendevolmente.