Vorrei gentilmente dire alle signorine che hanno comunicato la loro conversione, dopo l’illuminazione sulla via di Damasco a seguito dell’incontro con Mu’Ammar Gheddafi, che settanta euro e anche infinitamente di più non valgono una religione che considera le donne come oggetti, come bestie, come possesso (anche se pure la religione cattolica, in merito, ha ben poco da insegnare).
Leggevo della violenta reazione che ha avuto il giornale iraniano Kayhan verso la premiere dame de France, Carla Bruni.
Ognuno di noi può avere, della Bruni, l’opinione che preferisce; può piacere o meno, può godere di maggiore o minore considerazione, ma il livello raggiunto nell’editoriale di oggi del direttore del giornale (e non è un caso che sia nominato dalla guida suprema religiosa Khamanei) è di quelli veramente scandalosi verso il quale ognuno di noi, maschio o femmina che sia, dovrebbe avere una viscerale reazione di avversione.
La colpa della Bruni è di avere chiesto la revisione del processo e la sospensione della pena di morte per Ashtiani, rea di adulterio e che ha già subito la pena di 99 (ah la meravigliosa ipocrisia del 99) frustate sulla pubblica piazza, con queste parole: “Versare il tuo sangue, privare i tuoi figli di una madre? Perché? Perché hai vissuto, perché hai amato, perché sei una donna, un iraniana? Ogni parte di me rifiuta di accettare questo”.
E la pena che il giornalista chiede per questa interperanza verbale della signora Carla è la morte, e la chiede con questa motivazione: “Prostitute francesi partecipano alle proteste sui diritti umani”, imputandole il divorzio del presidente francese Nicolas Sarkozy dalla precedente moglie.
Ma rincara la dose commentando: “Il passato di Carla Bruni mostra chiaramente la ragione per cui questa donna senza morale sostiene una donna iraniana condannata a morte per aver commesso un adulterio che ha poi portato all’omicidio del marito e, infatti, lei stessa merita di morire”.
Tutto questo io non riesco ad accettarlo, mi si rivolta lo stomaco verso uomini che pretendono di giudicare, di essere padroni, di lapidare, torturare ed ammazzare le donne per il loro corpo, le loro parole, i loro pensieri e l’uso che di questi ne fanno.
E non pensiate che l’Iran, con le sue abberazioni, sia tanto lontano da casa nostra; anche da noi la religione, la politica, la morale desidererebbero avere il controllo delle nostre azioni, se, non ancora, dei nostri pensieri.
Come scrissi qualche tempo fa in un mio post tra il niquab e lo sfruttamento pornografico del corpo della donna non c’è alcuna differenza; è la negazione del nostro esistere.
Le frustrate, le punizioni corporali, financo la morte ne sono, solo, una logica conseguenza.