E’ recentemente tornato in libreria, per Il Battello a Vapore di Piemme, “La doppia Carlotta”, un celebre e datato romanzo del grande scrittore tedesco Erich Kästner, autore di tante perle delle letteratura per ragazzi.
Sono certa che molti di voi, prima ancora di ricordare il libro – già edito due volte in Italia sotto il marchio Bompiani e Mondadori, rispettivamente nel 1949 e nel 1990 – ricorderanno i vari adattamenti cinematografici che ne sono stati tratti, primo fra tutti il famosissimo – almeno per la mia generazione – classico Disney “Un cowboy col velo da sposa”.
L’ambientazione del film era stata resa americana, quindi forse pochi sapranno che la storia originale è invece più che europea svolgendosi a cavallo tra la Germania e l’Austria.
Carlotta e Luisa vivono a parecchi chilometri di distanza: la prima risiede a Monaco con la mamma e la seconda a Vienna, col solo padre, direttore d’orchestra e compositore. Ciascuna ignora l’esistenza dell’altra ed entrambe si credono orfane di un genitore.
Si incontrano per la prima volta in un campeggio estivo e, con sommo stupore e sconcerto, si scoprono fisicamente identiche. L’unica differenza rilevabile è che la prima porta delle ordinate e composte trecce – specchio del suo carattere mite e affidabile – mentre la seconda, molto più vivace e impertinente, preferisce tenere i capelli riccioluti liberi sulle spalle.
Le due bambine provano inizialmente un moto di repulsione e antipatia l’una verso l’altra, più che comprensibile data la sconvolgente sorpresa dell’incontro. Ma ben presto diventano amiche inseparabili e, tra un confidenza e l’altra, scoprono di avere in comune, oltre alle fattezze fisiche, anche la data di nascita.
Da lì il passo e il “due più due” è breve: capiscono facilmente di essere sorelle gemelle divise da piccine, prima ancora che possano ricordarlo, a causa della separazione dei genitori.
Ma piuttosto che rivelare la loro scoperta preferiscono tacerla e scambiarsi i ruoli: Carlotta andrà a Vienna dal papà e Luisa a Monaco dalla mamma.
Molto teneramente la scelta dell’inversione delle parti viene dettata dal desiderio che ciascuna prova di conoscere il genitore con il quale non ha potuto vivere, piuttosto che da un impeto di monelleria. Le due bambine sono infatti certe – e probabilmente a ragione – che se uscissero allo scoperto nessuna delle due avrebbe la possibilità di cambiare la propria, troppo stretta, realtà.
Qui già si rivela la sensibilità di Kastner che, oltre che ad inventare una storia divertente, cerca, riuscendoci, di entrare nell’animo delle sue piccole protagoniste, svelando, seppure in una situazione immaginata estrema, debolezze e ipocrisie del rapporto adulti-bambini.
Le avventure, comunque, iniziano a questo punto. Le due ragazzine si trovano a dover far fronte a circostanze nuove e imprevedibili, dovendole affrontare sempre con prontezza per non far scoprire il loro inganno.
Emozionante l’incontro con i genitori, ma anche difficili i nuovi compiti richiesti ad entrambe.
La ribelle e sbarazzina Luisa, nei panni di Carlotta, dovrà mostrarsi brava ed ubbidiente, oltre che un perfetta donnina di casa (qui molte di noi storceranno un po’ il naso, ma erano altri tempi dove – addirittura! – i bambini aiutavano in casa).
Carlotta, invece, nelle vesti della sorella, avrà più libertà ma dovrà fare i conti con le continue assenze paterne, con la solitudine di una casa vuota e, per di più, con un’ insopportabile fidanzata di papà.
Proprio per sventare un minaccioso matrimonio, la bambina dovrà mettere in gioco tutte le sue armi fin quando il caso, o il destino, non provvederà per lei e, svelando lo scambio delle parti, farà sì che tutto si chiarisca, che madre e padre si rincontrino e, chissà….ci sarà anche il lieto fine?
Una brillante commedia delle parti e degli inganni, frizzante e coinvolgente nonostante la considerevole età. Fresco anche lo stile, spezzando una lancia a favore della traduzione.
Ovviamente che la storia appartenga al passato si respira in qualche passaggio, considerato all’epoca un po’ troppo indiscutibile: è il padre che conduce una brillante carriera, mentre la mamma arranca e fatica con un lavoro teso solo al sostentamento (ed infatti nel finale appare scontato, nemmeno bisogno di precisare, che sarà lei a trasferirsi a Vienna e a rinunciare alla sua occupazione), è sempre il padre che ha l’opportunità di “rifarsi una vita” mentre di uno spasimante per la madre –che pure viene definita costantemente giovane e molto bella – non c’è nemmeno l’ombra.
Insomma qualche stereotipo di genere c’è ma, riconoscendolo, si può anche non penalizzare troppo il romanzo.
E’ importante invece sottolineare che il libro non è affatto un trattato o una storia esemplare contro il divorzio. Tutt’altro: lo stesso autore, proprio nelle sue pagine specifica chiaramente che ci sono tanti bambini che soffrono per la separazione dei genitori ma ce ne sono altrettanti che soffrono perché i genitori non si separano. E questo, detto a metà del 900 doveva apparire piuttosto moderno e rivoluzionario (infatti il libro non venne ben accolto dagli adulti del tempo).
La storia invece insiste e sottolinea l’importanza di parlar chiaro ai bambini, denuncia il fatto che proprio i piccoli, che sono i più coinvolti nel divorzio, spesso non ne siano resi partecipi, con le giuste parole e i corretti argomenti, ma li si tratti sovente come “pacchi” senza tenere in alcun conto i loro sentimenti.
Parlare ai bambini, essere sinceri e chiari, non tacere per quieto vivere o per timore di far loro del male. Questo vuole insegnarci Kästner. Dite che è un messaggio del tutto antiquato e superato?
(età di lettura: dai 9 anni)
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