Che cos’è la politica? La politica ha ancora un senso? È il titolo e sottotitolo di un libro di Hannah Arendt, la maggiore filosofa del pensiero politico del ‘900 e sulla cui riflessione intenderei continuare la mia piccola analisi.
Nota è l’attenzione costante della pensatrice verso la natura dell’agire sociale, per la cui analisi non si può che risalire alla cultura greca, al concetto antico di polis, all’antica distinzione tra vita pubblica e vita privata, all’antica lotta tra Atene e Sparta, i due modelli di vita contrapposti, per finire all’analisi del totalitarismo moderno e delle sue tragiche conseguenze.
Fare politica, qualcuno direbbe subito spontaneamente, è un’arte; certo, è l’arte del comunicare che si concilia con l’arte del fare per il bene comune; le ultime elezioni mi sembrano uno specchio illuminante di quello che può essere il suo significato: i grossi partiti supponenti e pieni di sé hanno più o meno perso punti; quelli meno tracotanti ma non adeguatamente radicati sul territorio hanno perso fiducia; quelli affatto pieni di sé ma di fatto radicati sul territorio hanno acquistato posizione; i piccoli partiti con una lunga o significativa tradizione e cultura alla base hanno più o meno conservato le loro posizioni, se non addirittura migliorato; quelli che sono partiti svantaggiati hanno sfondato o comunque, per il solo fatto d’avere lanciato una sfida più che ben ponderata, sono stati premiati dall’elettorato; infine purtroppo quasi un cittadino su due non è andato a votare perché non evidentemente motivato.
Occhio e croce emerge che il popolo dei votanti non è un popolo di per sé cieco e sprovveduto, come si è generalmente portati a sentenziare; dove ha la possibilità di individuare la mela buona tra le mele marce, coglie senza possibilità d’errore la mela buona; dove non ha la possibilità di scegliere quello che vorrebbe, sceglie per ripiego il male minore, adattandosi al quello che offre il mercato, disdegnando la politica che non paga del voto utile contro il voto sentito; dove ha la possibilità di affermare il proprio desiderio di concretezza e di decisionismo, ma aggiungerei anche purtroppo del bieco interesse, si schiera per la politica del fare; dove ritiene di non avere nessuna di queste possibilità o condizioni, decide di astenersi, essendo liberissimo di farlo e credendo comunque di esprimere in tal modo una forma di protesta.
Fare politica è anche la possibilità sempre aperta di vedere fiorire un miracolo, ossia anche l’improbabile diventa per sé comunque possibile perché è nella natura dell’essere umano poter fare miracoli, e se ne vedono ogni tanto accadere…è fuor di dubbio!
Poniamoci allora un’altra domanda: chi è il politico nell’accezione greca e comunque filosofica? E’ colui che innanzitutto ha l’uso della parola, che conosce il valore delle parole essendo che già esse per esso sono fatti, sono azioni; le azioni del politico sono, o meglio, sarebbero già le sue parole nel senso che alle parole corrispondono le azioni.
E’ pur vero che in politica, come nella vita in genere, non si fa nulla da soli e dunque “Senza amici e compagni fidati è impossibile agire” (Platone)
E’ sempre Platone che associa per primo, dopo la vicenda emblematica e simbolica di Socrate, la finalità del politico all’importanza del filosofo; chi vuole dedicarsi al governo della cosa pubblica dev’ essere una persona affrancata dal lavoro, libera di potere dedicare il suo tempo e le sue risorse all’agire pubblico senza altra forma di preoccupazione personale (se ne può dedurre che fare politica non è e non può essere un lavoro come un altro, ma una missione circoscritta e più o meno momentanea.).
Lo stesso dicasi per tutti quei lavori che hanno un’utilità sociale e che sono in forma implicita comunque espressioni di per sé politiche.
Infine la politica è anche nella realtà il luogo delle lotte estreme e senza risparmio di colpi ; è nelle sue forme viscerali l’antitesi della spontaneità e del disinteresse; chi vuole condurre una vita casta, senza necessità di compromessi od errori, non scelga di fare il politico ma semmai il religioso; alla vita pubblica scelga la vita privata; all’apparire scelga il nascondersi; all’avere giustizia su questa terra preferisca il rincorrere la giustizia della vita oltre terrena; al lavoro inteso come inevitabile e sostanziale necessità anteponga il ritiro in preghiera; al produrre anteponga la possibilità di vivere senza nulla o con poco; al progresso la conservazione dell’eterno, e mentre che la metafisica elogia se stessa, questa stessa metafisica trovi la sua equa umanizzazione nell’essere a contatto diretto con la contingenza del tempo e dello spazio.
Fin dall’inizio della sua riflessione la Arendt distingue infatti l’essenza della filosofia che si occupa dell’uomo nella sua universalità, dall’essenza della politica che si occupa degli uomini nella loro pluralità e differenza. L’essere è contemporaneamente sempre l’uno e l’altro; è il traghettatore che viaggia lungo queste due sponde, senza mai potersi separare senza danno dall’una o dall’altra.
Ecco una precisa affermazione della pensatrice: “ Sono dell’opinione che ricondurre tutte le attività umane al lavoro e alla produzione e ridurre tutte le relazioni politiche a un rapporto di potere non sia soltanto ingiustificabile storicamente, ma anzi abbia fatalmente storpiato o pervertito lo spazio pubblico e le potenzialità dell’uomo in quanto essere portato per la politica”
Inutile nascondersi la complessità dell’agire politico; che cosa vuol dire che i partiti hanno perso il loro radicamento sul territorio? O che mancano presenze nuove, risorse giovani? O che la politica ha tradito se stessa? O che non ci si occupa dei problemi reali ma solo di quelli burocratici e di leaderschip? Significano esattamente quello che dicono: non si fanno più circoli culturali e di incontro all’interno dei comuni e dei piccoli paesi; si ha timore a proporre rappresentanti nuovi per la semplice ragione che non si dà fiducia al rinnovamento delle idee; la politica è diventata il luogo del si calcola e non è più il luogo del si fa; ci si preoccupa delle alleanze e degli accordi di tendenza senza preoccuparsi dello sviluppo delle idee-guida che uniche possono di fatto costituire elemento d’unione e di coesione.
Eppure se si prende il felice per quanto isolato esempio della leaderschip di Nichi Vendola emerge che la politica è ancora una cosa viva e che può ancora avere il suo senso. La fabbrica di nichi ha raccolto il giusto e meritato plauso e la gente che viene coinvolta, motivata e sollecitata a dare il proprio prezioso contributo non si fa attendere, non si tira indietro, non rimane estranea. Ma dove si è reso possibile questa specie di miracolo? Nella regione della Puglia, una regione meridionale lontana dalle logiche capitalistiche e consumistiche del nord, ancora arroccata ad una sana tradizione contadina ed artigiana, dove si fa sentire una classe dirigente diretta verso l’anticonformismo, con il coraggio della sperimentazione ed del fare laboratorio all’insegna dell’innovazione del governo locale.
Se ogni regione avesse al suo interno il proprio Laboratorio politico territoriale, molto poco partito centrale ed assai molto territorio locale, si sarebbe già di per sé sconfitto il morbo dell’assenteismo. Sarebbe poi una mera questione organizzativa il sapere e potere rappresentare a livello nazionale quello che è già di per sé espressione viva delle singole regioni. Gli infiniti conflitti dovuti alle alleanze cosiddette forzate o di comodo, o dovuti alle logiche demagogiche e puramente retoriche “del chi devo mettere a rappresentare il Partito” e non all’idea “del buon governo scaturente dalla conoscenza diretta del territorio”, o dovuti alla necessità di non far disperdere i voti all’interno del nascere insensato ed improduttivo di tanti piccoli partitini che più che rappresentare i problemi reali del paese rappresentano solo se stessi, o dovuti infine alla necessità di modificare il sistema elettorale non adeguatamente rappresentativo della volontà dell’elettorato… per incanto sparirebbero.
Comunque possa essere la spinosa e complessa questione, indubbiamente occorre per ora rivolgere un sentito ed acclarato elogio al successo della regione Puglia e dei suoi uomini.
COMMENTI (1)
Inviato il 16 aprile a 07:14
"io non ho fatto la scelta della politica; ma quella della lotta per la realizzazione degli ideali comunisti." E.Berlinguer