Lo abbiamo sempre saputo (e di proposito ignorato) soprattutto per via delle numerose carestie di cui, anche negli anni passati, sovente e, in differenti periodi, erano teatro l’Africa o i Paesi del Sud -est asiatico (ma non solo) e delle quali i “media” c’informavano per aumentare audience e/o tirature con titoli”strillati”, abbondanza di particolari e scritti, nel caso di giornali, di natura quasi apocalittica.
Per il fatto, però, che esse riguardavano realtà lontane da noi potevamo, dopo una momentanea commozione e qualche soldo donato, anche permetterci di fare “spallucce”.
Con la torrida estate del 2012 le area colpite dalla siccità e che hanno messo in ginocchio nel mondo le coltivazioni di cereali, in primis il mais, e purtroppo anche negli Usa che è uno dei maggiori fornitori, sono aumentate questa volta sul pianeta e, quasi certamente, in un futuro molto prossimo, gli esperti sostengono che sono destinate a crescere in progressione geometrica.
Il nocciolo della questione è che la mancanza d’acqua( quando non piove affatto o non piove abbastanza oppure piove troppo e male, mandando i raccolti in malora) cioè la siccità, anche lì dove esiste una situazione che non è proprio da Paese in crisi, riduce notevolmente la produzione di cereali e quindi la resa è molto modesta per il proprietario al momento di raccogliere e di poter tirare le somme.
Allora,il “bravo” agricoltore, che guarda soprattutto e giustamente al profitto,e questo sotto ogni cielo, preferisce trasformare i cereali triturati in concime per il bestiame, che viene venduto poi con un discreto margine di guadagno per gli allevamenti intensivi, che devono, a loro volta, fornire carne al mercato e a chi , naturalmente, può permetterselo.
Siccome il poco che ne resta non costituisce, comunque, un buon affare per il produttore, che preferisce senza dubbio la prima soluzione, i cosiddetti cereali, alimento base dei poveri, aumentano di prezzo sul mercato internazionale,dove si compra e si vende solo con moneta forte.
E i poveri ovviamente non hanno alcuna possibilità d’accesso a questo genere di mercato per cui fame, e malattie legate alla denutrizione, costituiscono la loro unica e esclusiva realtà.
Il fatto è che il fenomeno comincia a riguardare non solo Africa, Asia o America latina ma anche il mondo occidentale e cioè l’Europa
I poveri, con la crisi economico-finanziaria generalizzata, cominciano ad esserci anche da noi e non sono pochi a quel che recitano certe statistiche di agenzie specifiche.
Questo vuol dire che , anziché piangere sul” latte versato” come siamo soliti fare, sarebbe più opportuno imparare a gestire diversamente la terra che calpestiamo e che ci alimenta.
Ed è un discorso che vale per tutti. Nessuno escluso.
Se i poveri di altri continenti stanno bussando di continuo alle nostre porte, perché hanno “letteralmente” fame e in questo modo gridano al mondo la loro voglia di vivere con dignità,com’è giusto e onesto che sia, piuttosto che respingerli perché non concertiamo “insieme” un modello di vivibilità alternativo, che vada bene a tutti e nel rispetto della natura e dell’ambiente?
La percezione del cambiamento climatico di quest’estate e di quest’ultimi tempi dovrebbe servire almeno a questo genere di riflessione e poi di scelta.
Per non andare, anche noi europei, un tempo forse un po’ più ricchi degli altri, in esodo forzoso .come non è difficile prevedere se si continua solo in sterili lamentele .
La natura “maltrattata” non perdona e lo ha dimostrato e lo dimostra di continuo.
Occhio !!!
Marianna Micheluzzi (Ukuundimana)