Siamo alla sedicesima puntata della serie di articoli di Luca Moreno sulla storia di Firenze. Le immagini sono numerate in continuità con quelle del quindicesimo articolo.
La famiglia dei Medici: gli inizi
di Luca Moreno
Figura 43: Giovanni di Bicci (da Wikipedia)
A questo punto è necessario illustrarvi le origini ed i primi passi della famiglia dei Medici, che proprio con Giovanni di Bicci (1360-1429) (figura 43) inaugura quella fase della sua storia secolare che li porterà ai massimi livelli (per la genealogia medicea, consultare la figura 44). Come potete vedere dall’immagine, nel Quattrocento è il ramo che fa capo a Cosimo il Vecchio che ci interessa; anche se il ramo cadetto (ora da tralasciare) di Lorenzo il Vecchio, fratello di Cosimo, figlio di Giovanni, saprà dare, a tempo debito, il suo importante contributo alla causa medicea.
Se Borgo degli Àlbizi era la strada nella quale dominava incontrastata la famiglia omonima, Borgo San Lorenzo (che indica una zona propriamente detta) era invece la base della famiglia Medici. Nella figura 45 si può vedere come tale borgo si trovasse nei pressi del castrum, quasi in posizione contrapposta alle sedi degli Àlbizi, a nord-ovest del Duomo.
Prima di tutto il Palazzo Medici, ora sede della Provincia Toscana (figura 45, 1), poi la Chiesa di San Lorenzo (figura 45, 2), dalla famiglia assai beneficiata, che si trova unita alle Cappelle Medicee (figura 45, 3), luogo di sepoltura della famiglia; e infine la Biblioteca Medicea Laurenziana (figura 45, 4), nata dalle collezioni librarie della famiglia. Luoghi da contestualizzare in epoche diverse, ma qui li elenchiamo tutti affinché possiate cogliere l’insieme di questo complesso da intendersi come centro politico, economico ma soprattutto culturale; aspetto, quest’ultimo, di importanza capitale per comprendere il ruolo di questa grande famiglia.
Il primo documento in cui si cita un componente della famiglia Medici a Firenze risale al 1201 con Chiarissimo di Giambuono, che compare fra i membri del Consiglio del Comune. La famiglia proveniva dal contado, e trae origine da un certo Medico di Potrone, nato intorno al 1046. Nessuna traccia di sangue blu; stiamo parlando di contadini che affondano le loro radici nella buona terra toscana del Mugello, a nord-est di Firenze; oscura è anche l’origine del nome, che fin troppo ovviamente potrebbe derivare da qualche antenato dedito all’esercizio della medicina o della farmacia (anche se allora medico poteva essere una variante di Domenico). Alcuni esponenti della famiglia, tutti discendenti di Medico di Potrone, tra il Duecento e il Trecento si guadagnarono una ricchezza ragionevole con le manifatture laniere, che in quel tempo videro un boom di richieste, in Italia e all’estero, soprattutto in Francia e Spagna.
Figura 44: Genealogia dei Medici
Nel Trecento i Medici conquistarono due Gonfalonieri di Giustizia, e per tutta la prima metà del secolo fecero parte dell’oligarchia che dominava la città, anche se in virtù del loro comportamento subirono, fra il 1343 ed il 1360, ben cinque sentenze di morte. I fallimenti delle grandi case mercantili e bancarie fiorentine quali i Bardi e i Peruzzi, la caduta del Duca di Atene e la Peste nera del 1348 determinarono, come già descritto, un periodo di grandi lotte sociali e politiche; è in questo contesto che si inserisce Salvestro de’ Medici, il quale, nella sua qualità di Gonfaloniere di Giustizia, sostenne le richieste degli operai della lana durante il tumulto dei Ciompi del 1378 (da non confondere con Salvestro detto Chiarissimo).
A causa di questo atteggiamento, i Medici sono e saranno sempre associati, a torto o a ragione, alla causa “popolare”; fatto, questo, che si dimostrerà un punto di forza per la famiglia, perché al “popolo” i Medici non esiteranno ad appellarsi, nei momenti di pericolo. In seguito a complotti orditi contro il governo statale (nei quali fu coinvolto anche il Duca di Milano), alcuni membri della famiglia furono esiliati e interdetti dal ricoprire incarichi pubblici. Tuttavia, da questo provvedimento furono esclusi due rami secondari: quello di Vieri de’ Medici e quello di Averardo detto Bicci, padre di Giovanni di Bicci.
Vieri era più ricco di Averardo, ma quest’ultimo si dimostrò assai intraprendente e seppe costruirsi un buon patrimonio. Alla morte di Averardo, avvenuta nel 1363, il capitale venne però diviso tra i suoi cinque figli, tra i quali vi era Giovanni. Tale suddivisone costrinse quest’ultimo a rimboccarsi le maniche per consolidare con il suo lavoro e la sua abilità la propria fortuna, che sarà la vera base della ricchezza medicea. Giovanni mosse i primi passi lavorando con lo zio Vieri, che disponeva di uno dei banchi più floridi della città; fu al suo servizio che Giovanni imparò il mestiere, diventando presto il responsabile della filiale a Roma.
Nel 1386, grazie al piccolo patrimonio portato in dote da sua moglie Piccarda Bueri, poi aumentato dall’entrata di nuovi soci, Giovanni si mette in proprio e nel 1397 ha già una sua sede a Firenze, vicino ad Orsanmichele, all’incrocio fra Via Porta Rossa e Via Calimala, con un capitale di 10.000 fiorini di cui metà suoi e, per la parte restante, di due soci. Le banche a quell’epoca espletavano la loro attività attraverso il servizio di deposito, di emissione e conversione delle lettere di cambio (le antesignane dei travellers cheques), di prestito e di investimenti a vario titolo, tanto che nel 1408 i Medici disponevano di due filiali: una a Venezia e una a Roma, più una succursale a Napoli.
Era proprio il Banco di Roma quello più redditizio, perché nel 1413 Giovanni era riuscito a diventare il banchiere privilegiato del Papa, grazie all’amicizia con Baldassarre Cossa, divenuto poi Papa e più tardi Antipapa, con il nome di Giovanni XXIII. Il Banco dei Medici riscuoteva le decime e ne ricavava una percentuale, in un regime di quasi-monopolio che, dopo un periodo di breve interruzione, fu acquisito definitivamente dal nostro Giovanni, così da accrescere enormemente le proprie fortune. Per quanto concerne invece l’azione nell’ambito della politica cittadina, Giovanni è ricordato come uno dei principali sostenitori dell’istituzione del catasto cittadino, che per la prima volta avrebbe tassato i fiorentini, non con le varie imposte sui consumi, che colpivano in eguale misura ricchi e poveri – la grandissima fetta di entrate era data dai dazi e dalle gabelle imposte sulle merci in transito e dalle tassazioni straordinarie per guerre e realizzazioni di grandi opere come le mura -, ma con delle tasse calibrate sulle entrate, le rendite e i possedimenti delle singole famiglie.
Figura 45: Quartiere di Casa Medici (elab. da Google Earth)
La legge non costituiva una novità in senso assoluto, poiché il catasto era già in vigore a Venezia. Giovanni dunque non ne fu l’inventore, ma il promotore; e per questo fu lodato per il suo disinteresse, poiché la legge danneggiava anche lui. Essa, infatti, colpiva i grossi proprietari e i capitalisti (che fin da allora erano molto inclini all’evasione fiscale) ed era invece di sollievo per il popolo, tartassato da ingiuste gabelle. Per la verità, esiste un’altra versione che vede Giovanni di Bicci opporsi strenuamente alla legge, sostenuta e addirittura proposta da Rinaldo degli Àlbizi e Niccolò da Uzzano, che desideravano con essa trovare i denari per finanziare la guerra – che invece Giovanni avversava – contro il tradizionale nemico di Firenze, cioè Milano e in particolare il Duca Filippo Maria Visconti. Questa versione però contrasterebbe con i comportamenti futuri della famiglia Medici e con il fatto che sappiamo per certo che lo scontro tra i Medici e gli Àlbizi fece guadagnare ai primi proseliti tra i ceti subalterni, a danno dei secondi. Giovanni di Bicci cioè entrò, come si dice oggi, nell’immaginario collettivo del popolo fiorentino come “il ricco cui si perdona la ricchezza medesima, perché munifico e sempre attento alle esigenze dei meno fortunati”.
Avremo modo di riparlare di questa caratteristica comportamentale dei Medici, che sarebbe ingiusto considerare una menzogna – perché confermata dai fatti -, ma che fu sempre da loro utilizzata con estrema abilità. A corredo di tutto ciò vi è poi il Giovanni “umanista” che, nel 1419, mette a disposizione un’ingente somma di denaro per finanziare la Sagrestia Vecchia di San Lorenzo, affidando il progetto a Filippo Brunelleschi; protegge il giovane pittore Masaccio ed è autore di molti altri atti di generosità; tuttavia la mentalità di Giovanni era ben lontana da quell’idea di mecenatismo che ritroveremo nei suoi figli e nipoti, poiché nel suo caso si trattava di generica benevolenza verso i concittadini, piuttosto che di un uso politico dell’Arte come prerogativa di prestigio e supremazia.
Altro aspetto molto apprezzato dalle fasce meno abbienti era la scarsa ambizione nel ricoprire le cariche pubbliche, che Giovanni sempre accettò solo se offerte spontaneamente; anche questo è un aspetto di saggia prudenza, che sarà una delle caratteristiche dei suoi discendenti e una delle chiavi del trionfo politico della famiglia. Non dobbiamo quindi immaginarci Giovanni di Bicci come padrone di Firenze; anzi, egli agisce in un periodo in cui sono ancora gli Àlbizi a prevalere. Probabilmente l’unico disegno politico di Giovanni è stato quello di creare un partito composto da personaggi fedeli, con i quali manovrare la politica cittadina da dietro le quinte; un disegno che sarà attuato in pieno dai suoi eredi, ai quali spianò la strada. È impossibile infatti capire il successo di questi ultimi, se non si riflette sul ruolo oltremodo positivo svolto da Giovanni.
Pur ricoprendo cariche politiche importanti, seppe stare sempre “nei ranghi”, così da evitare lo scontro diretto con gli Àlbizi, al quale invece non potrà sottrarsi il figlio Cosimo. Nel 1402 Giovanni di Bicci è Consigliere comunale; nel 1403 svolge una missione diplomatica a Bologna; nel 1407 è Governatore della città di Pistoia; nel 1419 membro dei Dieci di Balìa; nel 1421 Gonfaloniere di Giustizia. Insomma, i timori degli Àlbizi, riguardo alle intenzioni di questo Medici – uomo intraprendente sospettato di voler riprendere quella marcia in avanti già cominciata da Salvestro – sembrano essere più che giustificati. Tuttavia, pochi anni dopo, nel 1429, Giovanni morì, lasciando un patrimonio inestimabile ed un nome di famiglia del tutto riscattato dagli antichi tradimenti e dalle spericolate avventure passate. Aveva sposato una bellissima ragazza, Piccarda Bueri, nata a Verona da una stirpe di origine fiorentina tornata poi a Firenze, che chiamò sempre familiarmente “Nannina”; e il nome rimase nella casa dei Medici.
Da lei, che aveva sposato diciottenne, ebbe cinque figli, di cui tre morti molto giovani. A lui succedette Cosimo, detto poi il Vecchio (1389-1464) e Lorenzo anche lui detto il Vecchio (1395? – 1440); ma soltanto il primogenito ereditò la fortuna paterna, costituita da 180.000 fiorini, il Banco Medici e numerosi terreni.
Nel prossimo capitolo avremo modo di descrivere la “svolta” determinata dall’avvento del figlio Cosimo il Vecchio, personaggio per certi aspetti unico nella storia dei Medici e di Firenze.
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