La famiglia giapponese: ryoushin (i genitori)

Creato il 17 febbraio 2012 da Shoras @kinjoanime

Qualche tempo fa avevo realizzato un post sui termini usati nella famiglia giapponese, l’intenzione era di farne un unico post, poi per l’eccessiva lunghezza ho deciso di dividerli in due tronconi: una sui fratelli, che è stata già pubblicata, e una sui genitori, che per diversi motivi ho finito per rinviare.

Oggi quindi ci concentreremo sui genitori, sia su come si rivolgono i figli a loro, sia come si chiamano tra di loro marito e moglie, senza dimenticare il modo con cui ci si rivolgi ai genitori e mogli/mariti di altri.

La parola genitori in giapponese si traduce col termine ryoushin e in kanji si scrive: 両親. Con questo termine indichiamo l’unione di padre e madre, mentre se vogliamo parlare di un singolo genitore usiamo il termine oya che in kanji si scrive così: .

Come vedete c’è un kanji in comune (親), questo carattere nelle parole composte di solito si legge shin, mentre se è da solo in genere si legge oya, come potete intuire è il kanji che individua la parola genitore, mentre il kanji 両 significa “entrambe”, quindi se vogliamo essere corretti il termine ryoushin si dovrebbe tradurre come: entrambi i genitori, ma preferisco parlare di genitori (al plurale) per renderlo più scorrevole in italiano.

Se invece vogliamo parlare di marito e moglie, allora il termine che viene spesso usato è: fuufu (夫婦). Se non erro dovrebbero esserci altri termini simili ma non li ricordo e comunque questo è il più usato.

Dopo questa introduzione andiamo a vedere nel dettaglio le due figure:

Il padre e marito

Anche la famiglia giapponese possiamo dire che è di tipo patriarcale, cioè il padre è la figura di riferimento per la famiglia. il termine generale per indicare il padre è la parola chichi (父), attenzione però da non confondere con il termine tette che è scritto con un altro kanji (乳), anche se si pronuncia allo stesso modo.

Come succedeva per i fratelli e le sorelle, chichi è un termine generale per indicare il padre ma tutti hanno in comune lo stesso kanji, quest’ultimo viene usato dai figli un po’ più grandi per parlare in maniera cortese del proprio padre con persone estranee.

otousan (お父さん): è il termine più diffuso, usato principalmente per parlare del padre degli altri, come potete vedere è presente anche qui la o onorifica. Può capitare anche che i figli si rivolgono al proprio padre usando proprio questo termine.

tousan (父さん): meno formale di otousan, ma alla fine è quasi la stessa cosa. Mancando della o onorifica non è possibile usarlo per parlare del padre di altri, ma solo per rivolgersi al proprio padre.

oyaji (親父): è un termine piuttosto rozzo per parlare del proprio padre, dalle mie esperienze l’ho visto usare quasi esclusivamente dai giovani ragazzi per parlare del proprio padre, o anche per rivolgersi a lui. Usare questo termine da l’idea di non avere molto rispetto per il proprio padre (anche se non sempre è così), Tomoya di Clannad parla del proprio padre chiamandolo proprio oyaji, dato che lo disprezza.

papa (パパ): Non so dirlo con certezza ma quasi sicuramente papa è un termine di origine occidentale (non ne esiste una versione scritta in kanji), forse inglese. È un termine usato principalmente dai bambini per rivolgersi al loro padre (soprattutto se bambine), è quindi un termine infantile. In questo periodo c’è un anime intitolato proprio Papa no Iu Koto o Kikinasai.

otousama (お父様): Essendoci la presenza del sama, non può che essere un termine usato all’interno di famiglie aristocratiche, non credo che normalmente ci sia qualcuno che si rivolga al proprio padre così, ma negli anime può capitare.

chichiue (父上): come lo è per aniue anche chichiue è un termine ormai arcaico, che dimostra molto più rispetto dell’usare il termine otousama, ma era usato in passato solo all’interno di famiglie aristocratiche e imperiali. Nei manga e anime storici lo troverete molto facilmente, quasi impossibile vederlo in anime di ambientazione moderna.

Ma come si rivolge la madre al padre della famiglia? Anche qui abbiamo diversi termini.

otto (夫): Come vedete il kanji è quello stesso usato nella parola fuufu. La parola otto lo usa la moglie per parlare del proprio marito con gli altri. Forse è anche il termine più usato.

goshujin (ご主人): Il go ha la stessa funzione della o onorifica, quindi di conseguenza questa parola viene usata per parlare del marito d’altri e non del proprio.

shujin (主人): Non è una parola che ho sentito spesso, comunque dovrebbe essere un modo alternativo per rivolgersi al proprio marito (manca il go). Piccola digressione sui kanji usati per scrivere questa parola: il kanji 主 significa signore (lord), mentre 人 significa persona, quindi è la persona che è il signore (della casa).

danna (旦那): è una parola arcaica per rivolgersi al proprio marito, e anche piuttosto formale, attualmente può essere usata anche in tono scherzoso.

dannasama (旦那様): come il precedente ma ancora più formale. Usato in ambienti aristocratici.

anata (あなた): La parola anata significa “tu”, ma come già detto in altre occasioni, la parola tu in giapponese è usata pochissimo, questo è uno dei contesti in cui viene usata. Anata può essere perciò tradotto col termine “caro”.

La madre e la moglie

La musica non cambia, abbiamo ancora una volta un’unica parola radice che però è usata raramente. In questo caso si tratta di haha (母), che è appunto la parola che sta per madre. Usata principalmente per parlare della propria madre con gli altri.

Il discorso che ho fatto per il padre è identico anche per la madre quindi faccio solo un elenco delle parole usate con le rispettive scritture in giapponese, metto inoltre l’equivalenza con il termine per il padre.

  • okaasan (お母さん) = otousan
  • kaasan (母さん) = kaasan
  • mama (ママ) = papa
  • okaasama (お母様) = otousama
  • hahaue (母上) = chichiue

Che io sappia non c’è un equivalente di oyaji per la madre, se esiste è così raramente usato che nelle mie esperienze non l’ho mai incontrato.

Completiamo il discorso vedendo alcuni termini che usa il marito per la moglie.

In realtà da quello che ho potuto vedere, il marito si rivolge alla propria moglie usando semplicemente il nome di lei, oppure qualche nomignolo se è un tipo molto aperto e affettuoso (che come detto in precedenza è cosa rara).

Ci sono però tre termini per indicare la moglie: tsuma (妻), kanai (家内) e okusan (奥さん).

I primi due servono per indicare la propria moglie, l’ultimo per indicare la moglie di qualcun altro, ma a volte viene usato per rivolgersi a una donna di mezza età che si presume essere sposata.

Su kanai e okusan voglio spendere qualche parola sui kanji usati: la parola kanai è formato dal kanji di ie (家) che significa “casa” e il kanji nai (内) che significa “all’interno”, quindi colei che è all’interno della casa, mentre il kanji oku (奥) di okusan, si può anche tradurre come interno”, ma ha un significato più profondo, si potebbe tradurre come il nucleo, il cuore, la parte più profonda.

Si potrebbe pensare a un’interpretazione maschilista di questi termini, ma io la vedo diversamente, preferisco pensare che la moglie è la parte più profonda della casa, colei che sta all’interno della casa (kanai) e che la sorregge, il nucleo appunto.

La famiglia: kazoku (家族)

Durante questo enorme tour all’interno della famiglia giapponese vi sarete chiesti come si dice famiglia in giapponese, la parola più usata è kazoku (家族), ma anche katei (家庭) è molto usato, i due termini sono per lo più sinonimi anche se hanno delle piccole sfumature che non è facile esprimere in poche parole.

Ovviamente kazoku è la traduzione di famiglia in giapponese, ma secondo voi i giapponesi quando parlano della loro famiglia usano semplicemente l’espressione watashi no kazoku (私の家族), cioè la mia famiglia? Ovviamente no.

I giapponesi preferiscono riferirsi alla propria famiglia con il termine uchi che in kanji si può scrivere sia con 内 che con 家, che abbiamo già visto.

Con il termine uchi i giapponesi indicano tutto che è a loro vicino, sia fisicamente che mentalmente, quindi di conseguenza rientra la propria famiglia, ogni singolo elemento di essa e la casa in cui vive, ecco il perché dell’uso dei due kanji per dire la stessa parola.

In realtà il concetto di uchi rientra in un sistema complicato che usano i giapponesi che divide il tutto in uchi e soto (外, esterno), però esce fuori da questo discorso quindi per questa volta ve lo risparmio.

Detto questo potrei dire concluso il discorso  famiglia, ma potrei dire qualcosa sui nonni, zii, nipoti e cugini, ma lo farò soltanto se qualcuno mi chiederà di farlo. Volete che lo scriva pure?

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