Jonathan Coe (Birmingham – 1961), scrittore inglese ed ex giornalista freelance: non è strano che i suoi romanzi si traducano sempre in uno sguardo attraverso una potente (e satirica) lente d’ingrandimento sulla società. L’Inghilterra di Coe è costantemente inquadrata – storicamente e politicamente – nel dettaglio, alla ricerca di vizi, corruzioni e malcostumi da deridere e denunciare.
Protagonista della La famiglia Winshaw è l’Inghilterra degli anni di Margaret Tatcher, la Lady di ferro.
Lo scrittore Micheal Owen viene incaricato da Tabita Winshaw di scrivere la storia della propria famiglia: un clan ferocemente assetato di potere e ricchezza, ma soprattutto potere, prima di ogni altra cosa. Persino davanti agli affetti: Lawrence Winshaw ha davvero causato la morte del fratello Godfrey in guerra, nel 1942, come sostiene Tabita (impazzita dal dolore in seguito alla perdita dell’adorato fratello? Lawrence è davvero una spia nazista? Anche su questo dovrà indagare Owen, insieme a ogni più piccolo aneddoto e sordido segreto della famiglia. Ma in questo percorso, lo scrittore andrà incontro anche ai fantasmi della propria infanzia.
Pretesto per presentare il quadro della famiglia è il cinquantesimo compleanno di Mortimer (terzo dei fratelli Winshaw). Ecco allora tutta la famiglia riunita: Tabita uscita dal manicomio; Lawrence (ancora accusato dalla sorella); Olivia, l’altra sorella; Thomas, figlio di Olivia, produttore cinematografico e voyeur ossessionato dalle scene osé dei film; l’altro figlio di Olivia, Henry, un rampante deputato (fintamente ) laburista; Dorothy, figlia di Lawrence, che sta per sposare un facoltoso allevatore disprezzandone, però, l’atteggiamento “ecologista” troppo poco focalizzato sul profitto.
Il violento, bramoso di potere, privo di scrupoli clan dei Winshaw non è altro che un’allegoria della società e delle sue pieghe più oscure.