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Detto questo, solo per capire e per uscire dagli incantesimi del mondo, quelli veri, come uno scolaro della scuola media (pardon, secondaria di primo grado), propongo una storiella alla quale spero Olympe risponda con un post dei suoi.
Io invento un oggetto x. Pensando che possa avere successo, prendo soldi in prestito e avvio la produzione. Il prodotto incontra il favore del pubblico. Ripiano il debito, assumo personale dipendente. Mi espando, da piccolo divento un grande imprenditore, assumo migliaia di dipendenti. Ho bisogno di ulteriori capitali per estendere la produzione. Entro in borsa, le azioni vanno a ruba. Divento gigantesco. Il prodotto x raggiunge un picco di vendita e lì si stabilizza nei favori del consumatore.Problemi: primo, per sopravvivere devo necessariamente crescere? La produzione e quindi il mercato non conoscono la tregua della stabilità? Secondo, io pago tutto quello che c'è da pagare in fatto di tasse e rispetto scrupolosamente tutte le leggi e i regolamenti dello Stato ove svolgo la mia attività; inoltre, assumo ma difficilmente licenzio (l'ho sentita da qualche altra parte questa), e tutto il personale gode di alte retribuzioni e premi di produzione, nel pieno rispetto dei previsti contratti sindacali. Eppure sono a tutti gli effetti un capitalista. Necessariamente brutto, sporco e cattivo?Direte: questo esempio di capitalismo perfetto difficilmente si dà nella storia. Ma se il sistema capitalistico non è riformabile, per non auspicare improbabili ritorni ai bei tempi della miseria (di quelli di coloro che lamentano “si stava meglio quando si stava peggio”), domando come il giochino della produzione delle merci possa uscire dalle secche del capitalismo (sempre che ne possa uscire). Ovvero, caro Olympe - e domando venia della mia ignoranza marxista - oltre che a descriverci l'inferno, potresti, per cortesia, raccontarci un paradiso?
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