La favola di Vassilissa

Da Psytornello @psytornello

Torno a raccontarvi una favola.
Buona lettura…

C’era una volta, e una volta non c’era, una giovane madre che giaceva sul letto di morte, il volto bianco come le rose di cera della sagrestia della chiesa accanto. La figlioletta e il marito sedevano in fondo al letto di legno e pregavano Dio. La madre chiamo a sé Vassillissa e la piccola dagli stivaletti rossi e dal grembiulino bianco s’inginocchiò accanto alla mamma.

“Ecco, questa bambola è per te, tesoro mio” sussurrò la mamma. E da sotto le coperte tirò fuori una bambolina che come Vassillissa indossava stivaletti rossi, grembiulino bianco, gonna nera e corsetto ricamato. “Se ti perderai o avrai bisogno di aiuto, domanda a questa bambola che fare. Tienila sempre con te, non parlarne a nessuno e nutrila quando ha fame”. E il respiro le ricadde nelle profondità del corpo, dove raccolse l’anima e sfuggì dalle labbra.
La bambina e suo padre a lungo piansero e si disperarono. Ma poi, come il campo crudelmente sconvolto dalla guerra, la vita del padre rinverdì e sposò una vedova che aveva due figlie.

Sebbene esse avessero modi educati e sorridessero sempre come vere signore, dietro ai loro sorrisi c’era qualcosa del roditore che il padre di Vassillissa non notava. Quando le tre donne erano sole con Vassillissa la tormentavano, la costringevano a servirle, la mandavano a tagliare la legna. La odiavano perché c’era in lei una bellezza ultraterrena.
Un giorno la matrigna e le sorellastre non la sopportarono più. “Facciamo in modo che il fuoco si estingua, e poi mandiamola nella foresta dalla Baba Yaga a chiedere il fuoco. Così la Baba Yaga la ucciderà e se la mangerà”. Squittirono come esseri che vivono nell’oscurità. Così quella sera, quando Vassillissa tornò da aver raccolto la legna, la casa era tutta al buio. Domandò alla matrigna: “Come faremo a cucinare? Come faremo a rischiarare le tenebre?”
“Stupida ragazza, ovviamente non abbiamo fuoco. Devi andare a cercare la Baba Yaga a chiederle un carbone per riaccendere il fuoco”. “Benissimo lo farò” rispose Vassillissa, e si avviò. Nel bosco l’oscurità si faceva sempre più fitta, e i ramoscelli che le scricchiolavano sotto i piedi la riempivano di paura. Infilò la mano nella tasca del grembiule, dove nascondeva la bambola che la mamma le aveva dato, e subito si sentì meglio. E a ogni biforcazione Vassillissa infilava la mano nella tasca e consultava la bambola, e la bambola le indicava da che parte andare.
Improvvisamente un uomo vestito di bianco su un cavallo bianco passò al galoppo, e si fece più chiaro. Poi passò un uomo vestito di rosso su un cavallo rosso, e sorse il sole. Cammina, cammina Vassillissa arrivò alla tana della Baba Jaga, e proprio in quel momento un cavaliere vestito di nero su un cavallo nero penetrò nella baracca. Subito si fece notte.
La Baba Jaga era veramente una creatura spaventosa. Viaggiava su un mortaio che si spostava da solo. Guidava questo veicolo con un remo a forma di pestello, e intanto cancellava le tracce alle sue spalle con una scopa fatta con i capelli di persone morte da gran tempo. E il mortaio volava nel cielo con i capelli grassi della Baba Jaga che svolazzavano dietro. Il lungo mento era ricurvo verso l’alto e il lungo naso verso il basso, così si incontravano al centro. Aveva una barbetta a punta tutta bianca e verruche sulla pelle. Le unghie nere erano spese e ricurve e tanto lunghe che non poteva chiudere la mano a pugno..
Ancora più strana era la casa della Baba Jaga. Posava su un mucchio di zampe gialle di gallina, camminava da sola e qualche volta volteggiava come una ballerina in estasi. Le maniglie delle porte e delle finestre erano fatte con dita umane di mani e di piedi e il chiavistello era un grugno di denti appuntiti.
Vassillissa consultò la bambola e lei le rispose che quella era la casa che cercava. E d’improvviso la Baba Jaga nel suo mortaio calò su Vassillissa urlandole: “Cosa vuoi?”. La fanciulla tremava: “Nonna, sono venuta per il fuoco…ho bisogno di fuoco”. ” Oh, sìììì ti conosco, e conosco i tuoi. Dunque, essere inutile…hai lasciato spengere il fuoco. E che cosa ti fa pensare che io ti darò la fiamma?” Vassillissa consultò la bambola e rispose. “Perché chiedo”. La Baba Jaga disse soddisfatta. “Sei fortunata. E’ la risposta giusta”. E Vassillissa si sentì fortunatissima per aver dato la risposta giusta.
Baba Jaga la minacciò: “Non potrò darti il fuoco finchè non avrai fatto del lavoro per me. Se adempirai questi compiti per me, avrai il fuoco. Se no…”. E Vassillissa vide gli occhi della Baba Jaga trasformarsi in braci ardenti. “Se no, cara bambina, morirai”.
La Baba Jaga ordinò a Vassillissa di portarle quello che stava cuocendo nel forno. Nel forno c’era cibo per dieci persone e la Baba Jaga lo mangiò tutto, lasciando una piccola crosta e un cucchiaio di minestra per Vassillissa. “Lavami i vestiti, scopa il cortile e la casa, e separa il grano buono da quello cattivo e vedi che tutto sia in ordine. Se quando torno non avrai finito sarai tu il mio banchetto”. E la Baba Jaga volò via sul suo mortaio. E cadde di nuovo la notte.
Quando la Baba Jaga se ne fu andata la bambola rassicurò Vassillissa che ce l’avrebbe fatta, le disse di mangiare qualcosa e di andare a dormire. Vassillissa rifocillò anche la bambola e si addormentò.
Al mattino la bambola aveva fatto tutto, e non restava che preparare il pasto. La sera la Baba Jaga tornò e trovò che non era rimasto nulla da fare. In parte contenta, e in parte no, sibilò: “Sei una ragazza molto fortunata”. Chiamò poi i suoi fedeli servitori perché macinassero il frumento, e tre paia di mani comparvero a mezz’aria e cominciarono a raschiare e a pestare il frumento. La pula volava per la casa come una neve dorata. Quando fu tutto finito la Baba Jaga si sedette a mangiare. Mangiò per ore e ordinò a Vassillissa di pulire di nuovo tutta la casa, di scopare il cortile e lavarle i vestiti. “In quel mucchio di sporcizia ci sono molti semi di papavero. Per domattina voglio una pila di semi di papavero e una pila di sporcizia, ben separati”.
Quella notte la Baba Jaga dormì come un ghiro. Vassillissa cercò…di raccogliere…i semi di papavero…tra la sporcizia. Dopo un po’ la bambola le disse: “Ora dormi. Andrà tutto bene”. di nuovo la bambola si occupò di tutto e quando la vecchia tornò a casa era stato tutto fatto. La Baba Jaga chiamò i suoi fedeli servitori perché spremessero l’olio dai semi di papavero.
Mentre la Baba Jaga si insudiciava le labbra con il grasso dello stufato, Vassillissa le stava accanto. “Posso farti qualche domanda, nonna?”. “Domanda pure, ma ricordati che troppo saprai, presto invecchierai”. Vassillissa chiese dell’uomo bianco sul cavallo bianco. “Quello è il mio giorno”, rispose la baba Jaga intenerita. “E l’uomo in rosso sul cavallo rosso?”. “Oh, quello è il mio sole nascente”. “E l’uomo sul cavallo nero?”. “Quello è il terzo, ed è la mia notte. Vieni qui, vuoi farmi altre domande?”, le disse con tono suadente. Vassillissa stava per chiederle di quelle strane mani, ma la bambola cominciò ad agitarsi nella tasca e allora disse: “No nonna. Come tu stessa hai detto, troppo saprai, presto invecchierai”.
“Ah” disse la Baba Jaga “sei più saggia dei tuoi anni. E come hai fatto a diventare così?”. “Grazie alla benedizione della mia mamma” disse sorridendo Vassillissa. “Benedizione?! Non abbiamo bisogno di benedizioni qui! Meglio che tu te ne vada” e la spinse fuori. Ma prima le dette un teschio dagli occhi ardenti e lo infilò su un bastone. “Ecco, prendi il tuo fuoco e portatelo a casa”.
Vassillissa corse a casa, seguendo il percorso che la bambola le indicava. Era notte, e Vassillissa attraversò la foresta con il teschio sul bastone, con il fuoco che usciva dall’orecchio, dall’occhio, dal naso e dalla bocca del teschio. D’improvviso provò paura di quella luce fantastica e pensò di gettarlo, ma il teschio le parlò e la invitò a calmarsi e proseguire.
La matrigna e le sorellastre si avvicinarono alla finestra e videro una strana luce danzante nei boschi. Sempre più si avvicinava. Vassillissa si avvicinava sempre di più e quando la matrigna e le sorellastre la riconobbero le corsero incontro e le dissero che non avevano avuto più fuoco da quando se n’era andata.
Vassillissa entrò in casa con un senso di trionfo. Ma il teschio sul bastone osservava ogni mossa delle sorellastre e della matrigna, e la mattina dopo aveva bruciato e ridotto in cenere il malvagio terzetto.

Fonte:  Clarissa Pinkola Estés – Donne che corrono coi lupi – Milano, 2013 Frassinelli


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