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La festa del Giovedì Santo

Creato il 05 aprile 2012 da Cultura Salentina

di Lucio Causo

proces

Processione nelle strade di Tuglie (ph. Archivio Storico del Comune di Tuglie)

Ricordo che da piccolo, ogni anno, la primavera faceva rivivere nel giorno del Giovedì Santo, tra le bianche case del mio paese, una straordinaria festa che risaliva alle antiche tradizioni del 1600.

In quel giorno, nella Chiesa Matrice e nelle chiese dei rioni, era un continuo omaggio che i fedeli rendevano al Santissimo Sacramento esposto per ottenere la Grazia di Dio.

Secondo un’antica cronaca quel prezioso simulacro aveva tenuto lontano l’eresia e la cattiva sorte nelle terre della Diocesi.

Nella parrocchia seicentesca che si ergeva in piazza, di fronte al palazzo baronale, alle prime ore del mattino veniva esposto il Santissimo Sacramento sull’apposito trono, tra preziosi arredi sacri, in una vera serra di magnifici fiori profumati.

Alle nove gli abitanti del paese, suddivisi secondo i tradizionali rioni, davano inizio alla sfilata dei cortei che si recavano in chiesa per rendere l’omaggio secondo la tradizione.

A capo d’ogni rione vi erano gli eletti, che prendevano il nome di Priori, scelti ogni anno tra i signori più in vista della contrada. Seguivano le antiche Confraternite e Corporazioni religiose con tutto il loro sfarzo di divise e insegne.

Ogni corteo, appena avvistato dal campanile, era accolto dal suono festoso delle campane della chiesa parrocchiale. Al portale si facevano avanti i sacerdoti in cappa che davano il benvenuto.

I Priori, seguiti dai paggetti in costume tradizionale, sostavano al banco dell’antica Compagnia del Sacramento ove deponevano le offerte in cera e denaro precedentemente raccolte tra gli abitanti del proprio rione. Quindi avanzavano nella chiesa sino al luogo loro assegnato per l’adorazione. Il coro della cappella eseguiva a gran voce canti mistici, mentre tutti i fedeli del rione si prostravano in segno di devozione e presentavano i loro doni.

Quattro erano a quel tempo i rioni del paese e quindi quattro le processioni che si susseguivano durante la giornata per raggiungere la parrocchia.

Il corteo del rione della piazza era il più fastoso ed il più numeroso. Dinanzi a tutti procedevano i valletti nello splendido costume rionale col gonfalone del Comune in testa. Seguivano poi le autorità civili e militari.

altare

Altare Chiesa Madre di Tuglie (Archivio Storico del Comune di Tuglie)

A sera, tutti i Priori, insieme con la rappresentanza del Comune e col Parroco, ricevevano il Vescovo e poi in corteo si dirigevano alla Chiesa Madre, preceduti dalla croce della più antica Confraternita del paese ed accompagnati dalle Congregazioni coi loro vessilli. Chiudeva il corteo il Vescovo circondato dal clero in cappa. L’imponente processione entrava nella chiesa mentre il coro eseguiva il tradizionale inno in lode del Santissimo Sacramento. Un anziano predicatore saliva al pulpito e teneva il discorso celebrativo. A questo punto il magnifico altare barocco s’accendeva di luci vivissime. Tra la folla, nella vasta navata centrale, s’apriva la processione per percorrere le strade del paese. Il Vescovo, indossati i paramenti sacri, preceduto dal suo clero, portava attraverso la navata il Santissimo Sacramento sotto un ricco baldacchino sorretto dai membri della Sacra Compagnia, appartenenti alle più antiche e nobili famiglie del luogo. Facevano ala i paggetti dei rioni nel loro grazioso costume e tenevano in mano i ceri colorati a torciglione. Ultimi venivano i Priori coi ceri accesi, seguiti dai fedeli dei rispettivi rioni.

La festa del Giovedì Santo, istituita intorno al 1600 dal Vescovo dell’epoca, era gloria e vanto del piccolo paese ricco di antiche tradizioni. Questa festa nacque, grazie al buon cuore dell’alto Prelato, in un periodo di particolare oscurantismo sociale e religioso. A dimostrazione della sua paterna bontà, il predicatore, fra l’altro, leggeva in chiesa il seguente brano della lettera pastorale diffusa dal Vescovo in tutta la Diocesi per consacrare la festività:

 I Signori Priori useranno ogni diligenza per sapere, dopo invocato il Divino Aiuto, quali del popolo sieno in discordia o in altri peccati pubblici e procureranno con ogni forza di farli rappacificare ed emendare, acciò conforme al Santo Evangelio si guadagnino al Signore; e poi Confessati e Comunicati gli condurranno cogli altri in processione alla Chiesa per essere pronti a sentire e far l’orazione per conseguire l’Indulgenza.

Una festa, tanto attesa e sentita dagli abitanti del paese, che doveva tramandarsi nelle generazioni a venire attraverso i secoli.

Malgrado le molte e ripetute traversie, clero e popolo ogni anno celebravano il Giovedì Santo con quella solennità voluta dal Vescovo sin dai primi anni de1’600.

Due volte la festa corse il pericolo d’essere abolita, e fu al tempo della rivoluzione napoletana del 1799 e negli anni torbidi dei moti del 1821. Però, grazie alla fermezza dei nobili rettori della Compagnia del Sacramento e del popolo tutto, si riuscì a sventare ogni diffidenza.

Alla gente, in questo giorno solenne, piaceva passare in processione col Santissimo Sacramento per le antiche strade del paese, addobbate per l’occasione con vasi di fiori, lenzuola e coperte ricamate che pendevano dalle finestre e dai balconi e con artistici altarini, eretti dai devoti nella piazzetta del rione. Al passaggio del Santissimo dalle terrazze e dai balconi piovevano petali di fiori di tutti i tipi e colori.  Il popolo cantava festoso e si entusiasmava di fronte a tanta partecipazione e devozione. Le campane delle chiese suonavano in coro per annunciare lo straordinario evento ed intanto si preparava lo sparo dei fuochi d’artificio a conclusione dei festeggiamenti.

Dopo aver fatto il giro della piazza principale per riportare il Santissimo Sacramento in chiesa, le autorità, i fedeli, le Confraternite ed il clero si disponevano ordinatamente nei settori loro assegnati per assistere al solenne rito della benedizione impartita dal Vescovo.

A quel punto il cielo, ormai buio, s’illuminava di mille stelle colorate fra lo scoppio fragoroso dei mortaretti e delle carcasse.

Grandi e piccini, con lo sguardo rivolto al cielo, battevano le mani e ringraziavano il Signore per la bella giornata trascorsa in pace e serenità con tutti.

Dopo la festa, le case le strade e le piazze del piccolo paese sperduto nella Murgia Salentina, restavano, per un altro anno, santificate e vivificate da un’antica tradizione e da una grande fede nella Grazia di Dio.


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